Infografica da Soldionline.it

Da quando è entrato in vigore il decreto legge sul riordino delle province (n. 188 del 5 novembre 2012, “Disposizioni urgenti in materia di Province e Città metropolitane”), è partito l’assalto contro quella che è stata vista come una violenza istituzionale da parte degli enti interessati. Si contestano i criteri di accorpamento, quelli di cancellazione, l’incostituzionalità di alcuni articoli. Otto regioni hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale all’indomani della promulgazione, varie province si sono appellate al tar (tribunale amministrativo regionale) del Lazio. Ma come, non erano tutti unanimemente favorevoli al taglio di questi enti mangiasoldi dagli altissimi costi di funzionamento e dalle funzioni piuttosto limitate?

Come sempre, l’interesse verso il bene comune trova il suo limite in quello personale. Tutti siamo d’accordo che le province così come sono non funzionano, eppure nel momento in cui ne viene toccato l’assetto si alzano voci da ogni parte che si dichiararano ferite nella loro valenza istituzionale. È chiaro che andranno trovate delle soluzioni ad hoc per regolare casi specifici in cui i parametri previsti dalla legge causano problemi di governabilità del territorio. Da qui all’entrata in vigore del riordino (1° gennaio 2014) c’è tempo per licenziare dei correttivi volti a definire meglio i casi critici. Ma che senso ha la minaccia del presidente dell’Upi (Unione delle province italiane) Antonio Saitta di spegnere i riscaldamenti alle scuole per protesta? È ovvio che l’accorpamento richiederà la chiusura di uffici, la rinuncia a posti di lavoro e di potere per alcuni. Ma in una fase di snellimento e razionalizzazione della spesa pubblica è inevitabile che ciò avvenga. È l’interesse generale contro quello privato.

Evitiamo poi di soffermarci troppo sugli sproloqui relativi alla perdita identitaria delle province soppresse. Mantova non perderà nulla della sua bellezza solo perché dovrà condividere la provincia con l’altrettanto bella Cremona e Lodi. Le tradizioni di Crotone non saranno minacciate dall’unione con Catanzaro e Vibo Valentia. È solo una questione burocratica, evitiamo di farci prendere dal panico. Come sempre in questi casi a farsi sentire sono soprattutto i centri di potere piuttosto che la società civile. Non dimentichiamo che nell’ultimo referendum di una regione a statuto speciale (e quindi non toccata dal decreto legge) come la Sardegna la soppressione delle province di più recente costituzione è stata votata a maggioranza larghissima. La gente ha già capito che c’è bisogno di eliminare gli enti inutili e che quelli che restano devono funzionare bene per ridurre la spesa pubblica. Si tratta di soldi che in qualche modo devono essere risparmiati, e non possiamo pensare di andare a toccare altre voci di bilancio, molto più critiche e già interessate dai tagli, perché qualcuno non vuole rinunciare al proprio ruolo. Accettare questo cambiamento, seppure con le opportune modifiche, potrebbe essere un primo passo per abbandonare il campanile e pensare al bene della comunità a un livello più alto.