Lo scorso luglio, con un decreto, il governo ha introdotto il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo. Modi, tempi ed effetti non saranno immediati, ma la direzione è stata segnata. In molti si sono chiesti se non si sia trattata di una scelta fatta pensando più all’impatto mediatico della cosa che ai reali effetti per il benessere dei cittadini. Questo perché non c’è accordo in merito all’impatto della pubblicità del gioco d’azzardo sul comportamento delle persone. Spesso si ascoltano confronti in cui ognuno dà la propria opinione in proposito, senza spiegare su che base si sia formata.

Sul sito del magazine Vita è stato pubblicato un interessante articolo, nel quale Valentina Marasso Brandone e Fabio Pellerano hanno raccolto i risultati dei principali studi scientifici al riguardo (rimandiamo alla bibliografia pubblicata in fondo all’articolo originale per le ricerche che citeremo). Da tempo infatti la ricerca si interroga su questo tema, e alcune risposte (per quanto non definitive) sono state date.

In sintesi, spiegano gli autori verso la fine dell’articolo, «la questione non è se la pubblicità sul gioco abbia o meno un impatto, ma quanto pericoloso sia questo impatto. Perché, come abbiamo visto nelle diverse ricerche, emerge che agisce da trigger(ciò che scatena l’impulso e la voglia di giocare, ndr) per i giocatori problematici, influisce sulla percezione dei giovani e delle persone più vulnerabili ed è negativa per le persone che tentano di smettere di giocare». Vediamo in sintesi quali sono alcune delle ricerche più interessanti che hanno portato a questa conclusione. Se non ci sono evidenze del fatto che la pubblicità sia stato il fattore scatenante che ha portato chi non giocava d’azzardo a cominciare, si può invece dire che essa abbia contribuito ad aggravare la situazione in casi già problematici. «Una ricerca (Grant & Won Kim, 2001) citata nell’articolo di Griffiths ha evidenziato, a seguito di interviste a 131 adulti di giocatori d’azzardo patologici, il ruolo della pubblicità come “trigger” ovvero ciò che può scatenare l’impulso e la voglia di giocare. Il 46 per cento del campione ha riferito che la televisione, la radio e gli annunci sui cartelloni pubblicitari erano stati un fattore scatenante».

Uno degli effetti più pericolosi della pubblicità del gioco è di portare a una normalizzazione di tale attività. Vedere testimonial impegnati a sponsorizzare il gioco d’azzardo come una cosa positiva, innocua, a cui tutti si possono approcciare senza particolari rischi è una pratica che presenta dei rischi, soprattutto per le fasce più vulnerabili della popolazione, come i giovani. «Un secondo studio piuttosto recente (Lopez-Gonzalez, et al., 2017) sulla pubblicità dei giochi d’azzardo online afferma che “la trasformazione delle scommesse da una forma di gioco d’azzardo discontinua (periodica e soggetta a disponibilità) a una continua (onnipresente, accessibile a livello globale e perennemente disponibile) (Griffiths & Auer, 2013) ha probabilmente cambiato la natura della pratica, sollevando al contempo tempestivi interrogativi sulle sue conseguenze potenzialmente dannose. In risposta, gli operatori di scommesse, cioè i bookmakers, hanno tentato di invertire la tendenza delle preoccupazioni sociali che circondano il gioco d’azzardo, associandolo ad atteggiamenti positivi. Come acceleratore dell’accettazione sociale (Binde, 2014; Deans, et al., 2017), ritraendo nella pubblicità personaggi simpatici impegnati in attività di gioco, a volte interpretati da celebrità sportive con ampio sostegno pubblico nella comunità (Amos, Holmes, & Strutton, 2008). La moralità di ‘edonismo, materialismo, cupidigia, individualismo e fatalismo’ tradizionalmente legati al gioco d’azzardo (Binde, 2014) vengono rovesciate dai bookmakersnel tentativo di far percepire le scommesse come attività di svago e di intrattenimento (Korn, Hurson, & Reynolds, 2005; Monoghan, Derevensky, & Sklar, 2008)”».

Molti ricercatori mettono in guardia anche da quello che viene definito “effetto terza persona”, ossia la convinzione, che tutti abbiamo, che i messaggi pubblicitari rivolti a grandi audience facciano effetto sugli altri, ma non su noi stessi. Tendiamo a cogliere l’efficacia dei messaggi, pur ritenendoci praticamente immuni dai loro effetti, al contrario degli altri. Un effetto subdolo, che può portare a sottovalutare i rischi di campagne pubblicitarie aggressive.

Un altro aspetto evidenziato è che solitamente chi gioca ricorda di aver visto le pubblicità, mentre chi non ricorda le pubblicità non gioca: «Amey (2001) ha realizzato un’indagine in Nuova Zelanda intervistando 1500 persone e ha scoperto che l’89 per cento del campione ricordava di aver visto o sentito qualche forma di pubblicità riguardante al gioco d’azzardo nei 12 mesi precedenti il sondaggio. Di quelli che avevano visto la pubblicità, la maggior parte ricordava annunci pubblicitari sui giochi della lotteria e il numero di persone che ricordavano la pubblicità era praticamente identico al numero di persone che aveva giocato (84 per cento) […] In questo studio è stata trovata anche un’associazione tra giocare d’azzardo e pubblicità. Coloro che avevano giocato poco o non avevano giocato affatto tendevano a non ricordare di aver visto pubblicità sul gioco d’azzardo, mentre chi aveva giocato quattro o più volte era più incline a ricordarsene».

Sui livelli di attenzione e di memoria l’età è un fattore determinante: «Più le persone erano giovani, più era probabile che ricordassero qualche forma di pubblicità sul gioco d’azzardo (93 per cento sotto 25 anni; 76 per cento oltre i 65 anni), i disoccupati e i pensionati tendenzialmente erano meno inclini a ricordare le pubblicità (77 per cento) rispetto a coloro che erano studenti o impiegati (92 per cento)».

(Foto di dylan nolte su Unsplash)