Le famiglie in cui è presente almeno un figlio con disabilità sostengono costi sanitari significativamente più alti rispetto alle altre famiglie. Ci sono meno occasioni di svago e più preoccupazioni per il futuro dei figli, nonché maggiori discriminazioni sul lavoro. Il peso maggiore di queste difficoltà ricade per grandissima parte sulle donne.
Sono alcuni degli aspetti emersi da una ricerca svolta da Bva Doxa e Fondazione Paideia. Lo studio è interessante anche perché ha coinvolto due gruppi di partecipanti: famiglie in cui ci sono figli con disabilità e famiglie in cui non ce ne sono, per un totale di 988 famiglie. È stato così possibile confrontare le risposte di persone che si trovano a vivere contesti molto diversi, confermando quanto ancora ci sia da fare per eliminare le discriminazioni che colpiscono le famiglie che fanno i conti con la disabilità.
Partendo da una nota positiva, c’è da dire che la stragrande maggioranza (77%) delle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità pensa che la presenza di bambini con disabilità condizioni positivamente le attività scolastiche, «perché favorisce nuove forme di apprendimento (51%) o migliora il clima in classe (26%) – sintetizza Redattore Sociale –. Per il 14% la presenza di bambini con disabilità non condiziona in alcun modo le attività scolastiche (dato che si attesta al 7% per i genitori di bambini con disabilità), mentre secondo il 9% delle famiglie che non hanno figli con disabilità condiziona negativamente le attività perché rende faticoso il clima in classe (5%) o rallenta la didattica (4%), una voce che si ferma al 2% per quanto riguarda il Nord Ovest e che raggiunge l’11% per Sud e isole».
Tra i dati, emerge però lo scarso aiuto trovato dalle famiglie nella scuola. Interessante su questo la considerazione della sociologa Chiara Saraceno: «Forse dovremmo andare verso l’idea che tutti gli insegnanti dovrebbero essere preparati alla varietà dei bambini che hanno davanti. Una varietà che riguarda anche il tipo di difficoltà che possono sperimentare a livello scolastico. Possono avere disabilità, una origine migratoria recente, essere in condizioni familiari disagiate, o con altre difficoltà. Non si può pensare di delegare ogni singolo problema a uno specialista, moltiplicando le etichette categoriali».
Uno degli ambiti in cui la discriminazione è più forte è quello sanitario. Se già in Italia il contributo delle famiglie alla spesa sanitaria è tra i più alti in Europa, questo è ancora più vero per le famiglie che hanno figli con disabilità: «L’81% degli intervistati che hanno figli con disabilità ha dichiarato di aver acquistato prestazioni sanitarie private per i propri figli nell’ultimo anno, mentre il dato che riguarda le famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità si ferma al 60%. Di questi ultimi, il 41% ha dichiarato di aver speso meno di 500 euro nell’ultimo anno, il 4% tra i 1.000 e i 2.000 euro e soltanto il 2% ha dichiarato una spesa superiore a 2.000 euro. Tra i genitori di bambini con disabilità, invece, il 27% ha dichiarato di aver speso oltre 2.000 euro nell’ultimo anno per l’acquisto di prestazioni sanitarie private per i propri figli e il 14% tra i 1.000 e i 2.000 euro».
Tempo libero, vacanze e lavoro sono altri aspetti che, oltre a presentare uno schema simile, mettono in evidenza quanto l’onere della cura e della rinuncia alle esigenze personali ricada in gran parte sulle donne. Per esempio, «alla domanda “Quanto spesso riuscite a dedicarvi un’occasione di svago e tempo libero come adulti, senza bambini?”, il 36% delle famiglie con bambini con disabilità dichiara “mai” (40% delle madri rispetto al 25% dei padri), contro il 24% delle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità (29% delle madri rispetto al 18% dei padri)». Per quanto riguarda il lavoro invece, «Il 64% delle madri di bambini o ragazzi con disabilità ha dichiarato di aver chiesto la riduzione dell’orario di lavoro da quando è diventato genitore, rispetto al 42% delle madri che non hanno figli con disabilità. Divergente anche il confronto tra i padri: il 38% di chi ha un figlio con disabilità ha richiesto una riduzione di orario rispetto al 19% dei padri di figli che non hanno una disabilità. Il 34% dei genitori di bambini con disabilità intervistati ha dichiarato che l’essere genitore “ha condizionato moltissimo” (voto da 9 a 10) i possibili avanzamenti di carriera, con un picco che riguarda le madri (41%) rispetto ai padri (15%), a confronto con il 17% riferito alle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità».
Purtroppo il luogo di lavoro è anche un ambiente in cui si concentrano forme di discriminazione per i genitori, con un evidente squilibrio a danno delle madri: «Un rispondente su due del campione di genitori di figli con disabilità ha vissuto una esperienza di discriminazione sul luogo di lavoro, con il 17% che ha dichiarato “moltissime volte”. Anche in questo caso il dato che riguarda le madri di figli con disabilità che hanno dichiarato di essersi sentite discriminate “moltissime volte” (voto 9 e 10) è superiore (21%) a quello dei padri (9%). Quali sono i motivi per cui i rispondenti non lavorano o non hanno mai lavorato? Il 25% delle madri di figli che non hanno una disabilità dichiara che “il carico familiare non mi permette di avere tempo per un lavoro”, dato che raggiunge il 44% se si prende in considerazione il campione riferito alle madri di bambini con disabilità».
(Foto di Andrew Moca su Unsplash)
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