
In Italia abbiamo un problema nel riconoscere il giusto valore al lavoro. Soprattutto se si tratta di lavoro culturale. Ne abbiamo parlato più volte, l’ultima trattando di un bando pubblicato un anno fa dal Ministero della cultura, per un anno di formazione allo scopo di “contribuire all’inventariazione e digitalizzazione del patrimonio culturale italiano”, per un compenso complessivo di 5mila euro lordi. Purtroppo non si è trattato di un caso isolato.
Ogni giorno ci sono episodi in cui si insulta il percorso di studi di chi ha scelto di dedicarsi al patrimonio culturale italiano, offrendo posti di lavoro con paghe da fame. Per esempio, su Gli stati generali si parla di un bando pubblicato dalla soprintendenza di alcune province campane per l’affidamento di un incarico di realizzazione del sistema informativo geografico (Gis) dei siti di Paestum e Velia. La mole di lavoro è cospicua, «Si va dal censimento dei dati archeologici delle città antiche di Paestum e Velia – scrive Carlo Maria Miele –, alla digitalizzazione dei supporti cartografici, passando per il trasferimento del tutto in ambiente Gis e la verifica della precisione topografica, “anche con prese di rilievo dirette”». Come limite massimo per la durata della collaborazione il bando (poi ritirato) fissa quattro mesi, per un corrispettivo di circa mille euro “al lordo di ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali”. Decisamente una retribuzione irrisoria.
«Questo tipo di bandi – ha commentato Nicola Meluziis dell’Associazione nazionale archeologi Campania – sono sempre più frequenti, e sono indicativi della filosofia con cui si lavora nel campo dei beni culturali. Un bando come questo è offensivo per chi svolge questo lavoro, ma è anche il sintomo dello scarso valore che oggi in Italia si dà alla tutela del patrimonio artistico, oltre che dello scarso interesse per le professionalità». Talvolta però non si tratta solo di un problema di bandi scritti male, ma anche di incoraggiare il non professionismo, attirando il coinvolgimento di chi, da profano mosso da nobile passione, si offre volontariamente per sostituirsi ai professionisti. Il primo dicembre 2014, per esempio, è stato pubblicato dalla sovrintendenza capitolina ai beni culturali un avviso pubblico per la ricerca di associazioni di volontariato, associazioni culturali per lo svolgimento di attività gratuite da svolgersi presso musei ed aree archeologiche e monumentali. Anche questo bando è stato poi ritirato.
Un pochino di responsabilità c’è anche in chi si lancia in iniziative per le quali non ha le necessarie competenze, arrivando a compiere, seppure con le migliori intenzioni, dei danni. Sullo Huffington Post, Michele Stefanile, archeologo, racconta: «Napoli, gennaio 2015. Stanchi di vedere il patrimonio cittadino devastato dai vandali, i membri di un’associazione culturale si armano di detersivi e olio di gomito e puliscono dai graffiti che l’imbrattavano i marmi della fontana seicentesca di Monteoliveto. Foto, video, un assessore comunale in guanti e tuta, poi, pochi giorni dopo, la doccia fredda: un altro gruppo di volontari denuncia l’azione alla Soprintendenza, segnalando che da un primo sopralluogo si riscontrerebbero danni dovuti all’azione di prodotti e tecniche non adeguati». Le associazioni di categoria lamentano da tempo i danni provocati da un impiego scorretto di volontari nel settore culturale.
Diceva Massimo Troisi (citato qui): «qui la mattina uno si alza e fa l’attore e fa il giornalista. Io dovessi entrare con il camice bianco in sala operatoria sarei arrestato». Proprio questo è uno dei grandi problemi dell’Italia, dove troppo spesso il concetto di “lavoro” è associato al predicato “gratuito”, e quindi intere carriere universitarie e di formazione sono svilite da contratti che offrono, più che soldi, la possibilità di fare un’esperienza. Ma quale esperienza vale la soddisfazione di impegnare il proprio tempo in ciò per cui si è studiato una vita (spesso non meno di quanto devono studiare un medico o un ingegnere, ai quali nessuno si sognerebbe di chiedere di lavorare gratis) e potersi mantenere col proprio lavoro?