L’ambizioso piano italiano di istituire centri di smistamento dei migranti in Albania è diventato oggetto di un acceso dibattito, in particolare per quanto riguarda le implicazioni finanziarie, gli ostacoli giuridici e le preoccupazioni relative ai diritti umani. Quella che inizialmente era stata presentata come una soluzione per gestire i flussi migratori si è rivelata un’impresa costosa e complessa, sollevando interrogativi sul suo valore per i fondi pubblici italiani.
L’impatto finanziario dei centri in Albania si sta rivelando significativamente più elevato del previsto. Mentre inizialmente erano stati stanziati 39,2 milioni di euro per la costruzione, questa cifra è quasi raddoppiata, superando i 74 milioni di euro, ha rivelato un’inchiesta pubblicata su Balkan Insight. Alcuni parlamentari suggeriscono che lo stanziamento totale quinquennale potrebbe raggiungere il miliardo di euro, superando di gran lunga i 670 milioni di euro dichiarati dal governo. Questo forte aumento è in parte attribuibile alle “misure di emergenza” previste dal protocollo, che hanno consentito ai funzionari di aggirare le norme standard dell’UE in materia di appalti e di aggiudicare contratti diretti. I ritardi nella costruzione sono stati causati anche dalla scoperta che il terreno prescelto per le nuove strutture era instabile, il che ha reso necessario effettuare lavori di rinforzo. Inoltre, un fornitore italiano ha osservato che l’estrema pressione per concludere in fretta i lavori ha portato a retribuzioni “stratosferiche” per attirare i lavoratori, soprattutto durante il periodo festivo in Albania, e questo ha contribuito ad aumentare i costi. I fondi sono stati persino dirottati da bilanci ministeriali critici, compresi quelli solitamente destinati alle risposte alle emergenze sismiche e climatiche, e dai ministeri della Cultura e della Salute. Alcuni sottolineano che strutture simili per migranti costruite in Italia hanno avuto costi molto inferiori; ad esempio, un centro a Modica, in Sicilia, è costato 1,65 milioni di euro per 256 posti letto, mentre i centri albanesi, che possono ospitare 1.024 persone, costano circa 72.461 euro per posto letto, quasi undici volte di più. Sono state sollevate anche preoccupazioni riguardo alle ingenti somme di denaro dei contribuenti italiani versate alle aziende albanesi, sollevando interrogativi sulla trasparenza e sul potenziale clientelismo, dato il basso posizionamento dell’Albania negli indici di percezione della corruzione.
Il progetto ha dovuto affrontare numerose sfide legali. Inizialmente concepito per accelerare le richieste di asilo dei maschi adulti provenienti da “paesi sicuri” intercettati in mare, il piano ha incontrato ostacoli quando i tribunali italiani hanno ordinato il rimpatrio dei primi gruppi di migranti. Ciò è avvenuto in linea con una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea secondo cui la designazione di “paese sicuro” deve applicarsi all’intero territorio nazionale del paese di provenienza del richiedente asilo. Ciò ha portato i centri a rimanere vuoti per settimane. Per questo motivo, a marzo l’Italia ha cambiato rotta, trasformando il campo di Gjader in un centro di rimpatrio per i migranti già presenti in Italia che hanno ricevuto un provvedimento di espulsione, piuttosto che in un centro di accoglienza per i nuovi arrivati. Tuttavia, questo cambiamento richiede comunque il trasferimento dei migranti in Italia per l’espulsione, in conformità con il diritto dell’Unione europea. La legalità del progetto è ancora oggetto di scrutinio: la Corte suprema italiana ha recentemente deferito un caso alla Corte di giustizia dell’Unione europea per stabilire se le detenzioni in un paese terzo come l’Albania siano conformi alla legge dell’UE sul rimpatrio. Gli esperti legali si chiedono anche se i costi elevati siano in linea con i requisiti costituzionali italiani che impongono alle amministrazioni pubbliche di dimostrare efficienza ed efficacia.
Al di là degli aspetti finanziari e giuridici, le organizzazioni per i diritti umani hanno espresso forte indignazione. Le segnalazioni provenienti dall’interno dei centri evidenziano condizioni preoccupanti per i detenuti (come del resto avviene anche nei centri per migranti sul suolo italiano). I lavoratori del centro di Gjader hanno descritto misure di sicurezza rigide, accesso limitato ai telefoni e cibo consegnato attraverso porte metalliche. Sono state inoltre segnalati atti di autolesionismo e tentativi di suicidio tra i detenuti, e un lavoratore ha notato che spesso i migranti arrivano con tagli sulle mani. Secondo quanto riferito, un detenuto avrebbe mangiato del vetro per protesta, mentre un uomo di origine marocchina, trasferito dall’Albania a una prigione italiana, avrebbe dichiarato: “La prigione è meglio del CPR; non tornerò in Albania”. Sebbene il governo abbia sostenuto che il progetto mira a risparmiare denaro accelerando i tempi di elaborazione, le continue difficoltà legali e operative suggeriscono che lo scopo originale sia cambiato sostanzialmente, portando i suoi critici a considerarlo un’ammissione di fallimento e una lezione estremamente costosa in materia di convenzioni umanitarie internazionali.
(Immagine da freepik)
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