I dati e le stime indicano una responsabilità del settore militare nelle emissioni di gas serra. In effetti, c’è poca differenza tra potenze militari, membri del G20 e inquinatori globali. L’articolo di Scienza in Rete.

Le forze armate di Stati Uniti e Regno Unito hanno emesso almeno 430 milioni di tonnellate di CO2equivalente dal 2015, secondo il rapporto Less War, Less Warming: A Reparative Approach to US and UK Military Ecological Damages pubblicato da Common Wealth e Climate and Community Project. I dati sono difficilmente reperibili, perché non vengono forniti in modo trasparente dagli apparati militari. Una misura delle emissioni di gas serra del settore militare a livello globale le stima tra 1,6 e 3,5 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, ovvero tra il 3,3% e il 7% delle emissioni globali, una quota non irrilevante e paragonabile ai settori come le costruzioni e l’industria.

Il rapporto sostiene che il costo sociale di queste emissioni ammonta a 106 miliardi di dollari per le forze armate americane e a 5 miliardi per quelle inglesi. Per questo, gli autori suggeriscono che questi paesi debbano istituire dei fondi per “risarcimenti climatici”, soprattutto verso i paesi a basso reddito e più colpiti dal cambiamento climatico e dalle guerre. Un ragionamento simile a quanto detto quando avevamo parlato delle principali Big Oil mondiali. L’auspicio è comunque e sempre che chi ha fatto danni debba pagare.

Il costo sociale del carbonio non tiene conto degli impatti sulla salute delle comunità vicine alle attività militari, da Bikini Atoll nelle Isole Marshall, dove i test nucleari degli anni ’40 e ’50 hanno causato gravi danni ambientali, a Vieques, Porto Rico, dove decenni di inquinamento chimico della Marina americana hanno aumentato significativamente il rischio di malattie cardiovascolari e respiratorie per gli abitanti, all’Iraq, dove l’uso di uranio impoverito da parte delle truppe ha causato diffusi problemi di salute, compresi difetti alla nascita durante la guerra del Golfo e l’invasione del 2003.

Nel rapporto si ricorda che i governi e gli eserciti dei due paesi analizzati hanno costruito la loro politica militare, almeno dalle guerre mondiali, in modo da garantirsi una certa sovranità sui territori ricchi di combustibili fossili.

Gli Stati Uniti cercarono anche di ottenere il controllo delle forniture di petrolio, costringendo gli inglesi e i francesi a rinegoziare il loro accordo originale per consentire alla Standard Oil di assicurarsi i suoi interessi in Mesopotamia. Questa strategia ha posto le basi per l’espansione militare in Medio Oriente e altrove quasi un secolo dopo, soprattutto in Iraq e Afghanistan.

La cruenta e infondata guerra operata in Iraq dagli Stati Uniti di Bush – contro armi di distruzione di massa che, come noto, non esistevano affatto – è stata probabilmente motivata anche dalla ghiotta presenza di petrolio in quelle terre, si legge nel rapporto.

Interessante un dato: nel 2017 il Pentagono ha prodotto più emissioni del Portogallo.

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(Foto di Nikoli Afina su Unsplash)

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