Purtroppo allo stato attuale non è possibile rispondere con precisione a questa domanda. Mancano dati, e questo è di per sé un problema. Quelli che abbiamo riguardano esclusivamente i lavoratori della cultura che hanno un contratto di lavoro, ossia circa la metà del totale. Già questi dipingono però una situazione drammatica, con un calo nell’occupazione che è secondo solo a quello del settore turistico. «In Italia – si legge su Lavoce.info –, con un calo medio dell’occupazione del 2,9 per cento nell’intero settore dei servizi, il settore culturale ha perso il 10,5 per cento delle posizioni lavorative. Le ore lavorate sono diminuite del 14,9 per cento contro un -8,9 per cento nei servizi. Si tratta del peggior calo registrato, dietro a quello del settore turistico».?
Secondo i dati Eurostat relativi al 2019, i lavoratori autonomi rappresentano il 32 per cento dell’occupazione culturale negli Stati membri. In Italia la quota di autonomi è ancora più alta, arrivando al 48 per cento. Oltre a essere sostanzialmente fermi da circa un anno, gli autonomi della cultura sono privi di tutte le garanzie riservate ai dipendenti (cassa integrazione, indennità di disoccupazione e malattia, ecc.) e finora hanno potuto usufruire solo dei bonus a loro riservati dai vari decreti che si sono succeduti nel corso dei mesi. Una situazione che quindi era precaria già prima della crisi, e che la pandemia ha fatto emergere e acuito. Tre le considerazioni di Valentina Montalto, autrice dell’articolo citato, di fronte a questa situazione: La prima riguarda la produzione di statistiche dettagliate sul lavoro culturale che permettano un monitoraggio attento e regolare e quindi l’adozione di misure adeguate a diverse tipologie occupazionali. La seconda fa riferimento al necessario supporto nel breve termine a queste professioni, e in particolare ai lavoratori autonomi, al fine di non disperdere un capitale umano e culturale costruito nel tempo. […] La terza considerazione riguarda la necessità di uno “sguardo lungo” per capire se e come ovviare a una situazione di incertezza lavorativa strutturale ma migliorabile».
Un passaggio centrale nell’affrontare questo stato di cose, dato dal sommarsi di una precarietà strutturale e dai problemi portati dalla pandemia, sarà la declinazione degli interventi a favore della cultura nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Secondo Paola Dubini, è necessaria «una strategia digitale culturale, che riguardi la creazione e il rafforzamento di mercati digitali della cultura, la formazione di uno spazio digitale pubblico, la relazione con le filiere fisiche e dello spettacolo dal vivo, l’accessibilità al patrimonio, la valorizzazione su scala internazionale dei diritti connessi al patrimonio, lo sviluppo di competenze e di attività imprenditoriali in chiave di crescita socioeconomica sostenibile e che connetta le filiere del patrimonio con quelle delle arti e industrie culturali». È inoltre auspicabile un investimento a favore di un «accesso inclusivo alla cultura, che consenta, da un lato, una forte alleanza con i mondi dell’istruzione, della ricerca e della formazione continua, dall’altro di contrastare le varie forme di “abbandono”». Nel parlare di Pnrr si fa spesso riferimento alla necessità di affrontare i problemi in maniera trasversale. Non solo con azioni che siano esplicitamente etichettate come a favore di questo o quel comparto, ma che si integrino per favorire una ripresa articolata del tessuto economico e sociale. Dubini individua alcuni punti che potrebbero incidere positivamente in questo senso:
- un adeguamento energetico degli edifici pubblici che ospitano la biblioteca, il museo civico e il teatro;
- un investimento in accessibilità fisica;
- un investimento in formazione professionale del personale pubblico e privato nell’utilizzo di tecnologie digitali per il contrasto della povertà educativa derivante da difficoltà di apprendimento legate a forme di disabilità;
- lo sviluppo di servizi e attività specificamente rivolte a diverse categorie di residenti con disabilità per accesso alla cultura (per esempio, laboratori, percorsi o conferenze);
- iniziative di aggiornamento professionale e di inserimento nel mercato del lavoro per persone con disabilità e iniziative di ascolto nelle imprese su vincoli e bisogni esistenti da realizzare nei locali della biblioteca;
- una serie di laboratori nelle scuole rivolti a studenti con e senza disabilità;
- un partenariato con centri di cura, associazioni di volontariato, associazioni culturali e imprese, che abbia l’ambizioso obiettivo di rappresentare un centro diffuso di competenze su questo ambito.
(Foto di Rob Laughter su Unsplash )
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