La spesa per le cure dei pazienti oncologici ricade ancora in una parte consistente sulle loro spalle. È quanto emerge da un’indagine promossa dalla Federazione delle associazioni italiane in oncologia (Favo) che evidenzia numerose criticità diffuse, sebbene in modo disomogeneo, in tutto il Paese. L’indagine, condotta su un campione di quasi 1.300 pazienti in terapia che avevano ricevuto una diagnosi tra il 2011 e il 2018, aveva l’obiettivo di esaminare in che misura questi avessero utilizzato i propri risparmi per seguire il percorso terapeutico indicato dai medici. L’inchiesta è stata condotta in 39 punti di accoglienza e informazione di Aimac (Associazione italiana malati di cancro), distribuiti sul territorio nazionale, ha spiegato Alessandro Sproviero, CEO di Datamining che ha curato lo studio: «Il campione della popolazione in trattamento ha tenuto conto del genere e della sede tumorale».

Dalle risposte fornite dai pazienti alle 38 domande riguardanti le spese (mediche e non) affrontate direttamente per colmare le lacune e i ritardi del Servizio sanitario nazionale, è emerso che in media ogni paziente oncologico italiano spende circa 1.841 euro all’anno per ricevere prestazioni sanitarie che dovrebbero essere coperte dai servizi sanitari regionali. «I malati sono consapevoli che le lunghe attese incidono pesantemente sui ritardi diagnostici e si ritrovano obbligati a ricorrere al privato per superarle – ha spiegato Francesco De Lorenzo, presidente di FAVO e Aimac –. L’auspicio è che questi dati convincano i decisori politici a intervenire con immediatezza, per evitare che a fare le spese di queste disfunzioni siano le fasce più deboli della popolazione».

La voce che incide maggiormente sulle spese sostenute direttamente dai pazienti è quella dei costi per gli esami diagnostici, segnalata dal 51,4% dei partecipanti. Altre voci significative includono i costi di trasporto (45,1%), le visite specialistiche successive alla diagnosi (45,1%), l’acquisto di farmaci non oncologici (28,5%) e le spese per l’alloggio lontano dalla propria residenza (26,7%).

Inoltre, l’indagine ha evidenziato che la spesa per la diagnostica (in media 259 euro all’anno) potrebbe essere influenzata anche da esami prescritti in maniera inappropriata. Esami che, considerati non necessari secondo un’analisi costi-benefici, vengono lasciati a carico dei pazienti. Altre voci di spesa rilevate includono i trattamenti di supporto psicologico, i consulti con il nutrizionista, l’acquisto di protesi, parrucche e sedie a rotelle e le visite domiciliari da parte di medici e infermieri.

I costi privati sostenuti dai malati di cancro sono diffusi principalmente tra coloro che vivono nelle Regioni del Centro e del Nord dell’Italia. Questo perché i costi per accedere a strutture private sono particolarmente elevati quando le strutture pubbliche richiedono attese troppo lunghe per la diagnosi. Questa scelta spesso comporta la rinuncia ad altri servizi necessari ma non adeguatamente forniti dalla sanità pubblica.

Gli autori dello studio sottolineano la necessità di potenziare la capacità del Servizio sanitario nazionale di rispondere alle esigenze insoddisfatte dei pazienti, riducendo le differenze socioeconomiche lungo tutto il percorso di cura, dalla diagnosi alla riabilitazione. La disparità nel soddisfare queste esigenze aumenta le disuguaglianze tra pazienti con differenti status socio-economici, nonostante la presenza di un sistema sanitario pubblico che dovrebbe garantire a tutti un accesso equo ai servizi sanitari.

Che la capacità di spesa dia luogo a discriminazioni emerge anche da un altro dato, che indica che i pazienti maggiormente costretti ad attingere ai propri risparmi per curarsi sono quelli che affrontano una recidiva di una malattia diagnosticata in passato. Durante le fasi iniziali della cura, infatti, i pazienti beneficiano maggiormente dei servizi offerti dal servizio pubblico, mentre nelle fasi successive della malattia ciò avviene con meno frequenza.

«È necessario rafforzare la medicina territoriale, anche in ambito oncologico – ha spiegato De Lorenzo –. Le cure più avanzate è giusto che vengano svolte nei centri di riferimento. Ma una volta superata la fase acuta della malattia, il resto va fatto principalmente sul territorio. I pazienti con una malattia avanzata, anche quando non guariscono, hanno diritto a una vita dignitosa in linea con le opportunità terapeutiche attuali e alla migliore qualità della vita possibile».

(Foto di Marek Studzinski su Unsplash)

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