Nei giorni scorsi, il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha ipotizzato di chiedere che parte dei militari finora impegnati nel pattugliamento della città di Roma, in occasione del Giubileo straordinario, siano destinati a intervenire nelle aree più critiche del capoluogo lombardo. Si tratta di un tema controverso, in cui facilmente si tende a tracciare una linea che dalla necessità di sicurezza porta alla militarizzazione dei quartieri. La dichiarazione di Sala ha anche un contenuto politico, visto che con questa uscita ha voluto innanzitutto entrare in un tema, quello appunto della sicurezza, che tradizionalmente occupa più spazio nei programmi del centrodestra, che non del centrosinistra.

Si tratta però di un terreno molto delicato, in cui la tendenza a dare risposte semplici a problemi complessi rischia di generare le solite ricette demagogiche utili solo a dare ai cittadini la percezione che “si sta facendo qualcosa” per loro. Questo è infatti il principio che ha portato, nel 2008, all’avvio dell’operazione Strade sicure, poi prorogata e tuttora in corso, con la quale sono stati piazzati circa 3mila militari (poi aumentati nel corso degli anni) a pattugliare piazze e obiettivi “sensibili” sul territorio italiano. Nell’invocare un maggiore impiego di militari per le strade di Milano, si dà implicitamente per assodato che l’operazione abbia avuto esiti positivi nell’agire come deterrente alla commissione di reati, o se non altro a infondere nei cittadini una percezione di maggiore sicurezza nelle città. La realtà (come ci tocca ripetere fin troppo spesso) è però più complessa, e bisogna arrendersi all’evidenza che il contingente impiegato, e le competenze affidategli, sono troppo esigue per valutarne l’impatto, e inoltre il nostro Paese non ha ancora adottato un sistema di stima del “rischio evitato”. Dunque i dati sono pochi e non molto affidabili.

Inoltre, l’andamento della percezione di sicurezza da parte dei cittadini ha subito negli anni oscillazioni difficilmente ricollegabili all’operazione in questione. Gianluca Di Feo, su Repubblica, ha provato a raccogliere i dati disponibili e presentare un quadro della situazione, per capire se l’annuncio di Sala possa avere una base statistica di qualche tipo. Intanto, nel botta e risposta mediatico in cui i politici si confrontano, il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha confermato la disponibilità del governo a rispondere alla richiesta di Sala: «La ministra ha dichiarato che “Strade sicure” ha prodotto “riscontri estremamente positivi “, tra i quali la “riduzione del 30 per cento dei reati a Roma “». Un dato molto incoraggiante, del quale è però lecito dubitare. Come spiega Fabrizio Battistelli, docente di sociologia alla Sapienza e specialista della materia: «Non siamo in grado di valutare pienamente la performance dei militari perché non misuriamo fattori come la deterrenza: quanti reati non sono avvenuti perché la presenza dei soldati ha tenuto lontani i criminali? Non abbiamo nemmeno una stima del gradimento dei cittadini: si sentono più sicuri o più spaventati?». Su questo i dati, come si diceva, sembrano variare in modi che non hanno a che fare con l’operazione in questione: «Se guardiamo alle rilevazioni dell’Istat – scrive Di Feo –, i cittadini italiani dal 2010 in poi si sono sentiti sempre meno sicuri, con una percezione del rischio che ha cominciato a migliorare solo nel 2014».

Il contingente è piuttosto esiguo, si diceva: «Oggi gli uomini e le donne dell’Esercito in servizio nelle strade sono 7mila – il record numerico assoluto – contro gli oltre 250mila tra carabinieri, poliziotti e finanzieri a cui vanno sommati i corpi di polizia locale, i vigili urbani di una volta, e una moltitudine di guardie private. […] Tanto che la Corte dei Conti non ha potuto verificare le prestazioni dei militari perché la “percentuale di risultati è estremamente ridotta rispetto a quelli delle forze dell’ordine”».

Tra gli obiettivi dell’operazione c’era quello di sollevare polizia e carabinieri dalla funzione di pattugliamento, per andare a rinforzare reparti a più alta priorità. Il risultato è solo in parte raggiunto però, in parte per il blocco del turn over tra polizia e carabinieri, che ha portato alla perdita di 8.722 unità (dunque più dei 7mila soldati attualmente impiegati). D’altra parte, uno dei problemi è costituito dal fatto che i militari di “Strade sicure” hanno una discrezionalità d’intervento molto limitata, e devono sempre muoversi affiancati da un rappresentante di polizia o carabinieri. «Questa convivenza obbligata però ha depotenziato gli effetti sul campo: nel 2012 per garantire circa 300 pattuglie al giorno, servivano altrettanti agenti con il risultato di sottrarne – scrive la Corte dei Conti – almeno 220 dai servizi di controllo del territorio», spiega Di Feo. Dunque, al di là delle emergenze, e al di là degli annunci “alla pancia degli elettori”, l’assioma «più soldati, più sicurezza» è degno di finire nella canzone di Jannacci che fa da titolo a questo articolo.

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