La vita forzatamente domestica delle ultime settimane ha ispirato la penna di vari scrittori, che hanno cominciato a raccontare su blog, social network e giornali le loro giornate a casa. Tra i tanti esempi possibili, riportiamo un estratto di quanto pubblicato su Doppiozero dalla giornalista e scrittrice Cristina Battocletti: il rapporto con le figlie, riflessioni sul presente e ricordi biografici.
Dall’alto del quinto piano per la prima volta vedo la vita dei vicini, come sono le loro finestre, le piante sui balconi, le piastrelle sui terrazzini, l’invecchiamento delle imposte. Mentre la palla nella sua parabola inciampa sul filo dei panni e mia figlia corre a recuperarla, capisco con un’occhiata dove dormono i ragazzi degli altri: sui vetri delle finestre hanno appeso dall’interno sempre qualcosa di colorato che appare sfumato alla vista, ma dà calore. La quarantena mi ha fatto scoprire il terrazzo condominiale, dove un secolo fa stendevano i panni e oggi ci sono i segni colorati dei gessetti che le bimbe dei vicini tracciano a terra quando salgono, come noi, a prendere aria.
Noi giochiamo a palla asino, ogni volta che uno sbaglia prende una lettera, A, S, I, N, O; chi realizza la parola completa ha perso. Prendiamo il gioco seriamente e io cerco di renderlo più difficile gettando la palla obliquamente per far fare uno scatto imprevisto al corpo, perché mia figlia faccia un po’ di moto. I suoi undici anni sono come intorpiditi da questo mese e mezzo di reclusione forzata. Lei, che è una piletta di energia e anche in casa deve fare il parcours domestico, che consiste nell’arrampicarsi sulla schiena del divano e poi saltare in quello che gli sta di fronte, sembra fiaccata. Si rianima se faccio un tiro basso e vigliacco, le scappa una risata che muore quasi subito, quando esplode a sorpresa l’urlo delle ambulanze, che si mangiano il silenzio irreale, gareggiando con il rumore degli elicotteri che non vediamo. Questo ci fa sentire cieche e vulnerabili.
C’è una calma assurda a Milano in questi quaranta giorni, che all’inizio c’è parsa bellissima. Solo i tram e la città ferma.
Non ho dovuto spiegare niente a mia figlia piccola, sa già tutto, perché la scuola acutamente ha approfittato subito della situazione per spiegare in scienze il virus. Della parte brutta la mia figlia piccola vede solo il contingente, le proibizioni e i veti. Mia figlia grande ha invece l’apprensione delle conseguenze tragiche, ha paura per chi le sta vicino, più di sempre ha bisogno di affondare la testa nella pancia, come se fosse un giocatore di rugby gentile, un cucciolo che si rifugia nel ventre della mamma.
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(Foto di Mohamadreza Azhdari su Unsplash)