Il Rapporto Italia 2020 di Eurispes ha fatto discutere per alcuni dati eclatanti al suo interno. Quelli che spiccano di più hanno a che vedere con l’idea che molti italiani hanno sul genocidio nazista durante la seconda guerra mondiale. A pensare che la strage sia avvenuta, ma che i morti siano stati meno delle cifre ufficiali, è il 16,1 per cento della popolazione (nel 2004 era l’11,1 per cento). Coloro che invece pensano che lo sterminio non sia mai avvenuto sono il 15,6 per cento, contro il 2,7 per cento del 2004. Cifre ancora minoritarie, ma la tendenza (soprattutto del secondo dato) resta preoccupante.
Una vaga idea di solidarietà
Altri dati restituiscono un’idea dell’Italia che colpisce, anche se magari non sorprende (più). Per esempio, il 63,7 per cento degli italiani è contrario a «pagare le tasse allo Stato per garantire una distribuzione delle risorse tra i cittadini appartenenti a Regioni diverse». Le istanze autonomiste di alcune regioni del Nord sono note ma, nonostante siano anche le zone più popolose del paese, non arrivano da sole a essere maggioranza. Più che una questione di maggiore indipendenza amministrativa, sembra che gli italiani non riescano più a mettersi d’accordo sulle premesse del discorso. Essere uno Stato unitario, diviso in Regioni, implica che ognuno contribuisca come può al benessere di tutti, e che quindi le zone più in difficoltà siano indirettamente aiutate da quelle più ricche. Che poi è anche il principio dell’Unione europea, dove ci sono alcuni stati che versano più di quanto ricevono in termini di contributi diretti (tra questi l’Italia) e altri che invece ricevono più di quanto versano (per esempio la Polonia). C’è un principio molto semplice alla base, che si chiama solidarietà. Vale tra persone, tra regioni, tra paesi. Essere dalla parte di chi dà più di quanto riceve è una condizione di privilegio: vuol dire che si vive in una zona dove c’è più lavoro, più ricchezza, più servizi e di migliore qualità.
Poca fiducia nello Stato
Del resto la questione “autonomista” non è l’unica che può spiegare il dato in questione, perché la ricerca ne propone altri: «Sull’ipotesi di pagare più tasse agli Enti locali e meno tasse allo Stato perché è più facile verificare la qualità dei servizi erogati dalle Amministrazioni locali, la popolazione si divide a metà tra chi è d’accordo (47,6 per cento) e chi non è di questa opinione (52,4 per cento)». Un’altra risposta fa pensare che in una grossa fetta di popolazione non ci sia grande fiducia nel fatto che al versamento di tasse corrispondano dei servizi erogati dallo Stato: «Pagare le tasse allo Stato per avere un livello accettabile di servizi pubblici è indispensabile per il 49,8 per cento dei cittadini (il 16,4 per cento in meno rispetto al 2007)». Va detto che purtroppo l’Italia, storicamente, non si è mai distinta per la capacità amministrativa di chi l’ha governata (con eccezioni ovviamente, soprattutto in ambito locale). Tanto che c’è anche chi giustifica l’evasione fiscale, se compiuta da chi fa fatica a sostenere la pressione fiscale (25,1 per cento); «per il 19,6 per cento è grave per chi possiede grandi patrimoni; per il 9 per cento non è grave perché in Italia la pressione fiscale è eccessiva». Anche qui, cifre minoritarie, ma se non ci mettiamo d’accordo sulle premesse, le conseguenze saranno disastrosamente scontate. Nel frattempo, le associazioni di volontariato guadagnano consensi, dal 64,2 al 70 per cento in un anno. Se vogliamo trovarne una, di premessa comune, partiamo da questa.