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Il quinto rapporto Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), presentato a Copenaghen domenica 2 novembre, è molto chiaro sulle condizioni necessarie affinché continui la vita dell’uomo su questo pianeta: bisogna abbandonare l’uso smoderato di combustibili fossili e limitare le attività umane che hanno un forte impatto ambientale. Questo dovrà avvenire entro il 2050, altrimenti le conseguenze per il pianeta saranno irreparabili. Entro il 2100, inoltre, dovranno essere completamente abbandonati i combustibili fossili, altrimenti l’aumento della temperatura terrestre supererà i 2°C entro i prossimi anni, limite oltre il quale si registrerebbe un aumento vertiginoso di sconvolgimenti climatici e disastri naturali.

Da tempo si parla di queste cose, e anche su ZeroNegativo ci siamo occupati dei precedenti report pubblicati dallo stesso comitato, formato da studiosi di tutto il mondo (anche se nell’elenco dei professionisti che hanno partecipato alla stesura del documento si fa notare l’assenza di partecipanti italiani). Le conclusioni degli studiosi sono però sempre più dure e con l’approfondirsi degli studi quelle che erano solo ipotesi diventano vere e proprie tesi avvalorate da dati, che le rendono ormai del tutto inopinabili. Il primo paragrafo del report è subito molto chiaro in merito alle responsabilità umane sui cambiamenti climatici: «L’influenza umana sul sistema climatico è chiara, e le recenti emissioni antropogeniche di gas serra sono le più alte nella storia. I cambiamenti climatici recenti hanno un impatto allargato sui sistemi naturale e umano».

I cambiamenti che si stanno registrando a partire dagli anni Cinquanta del ‘900 sono descritti come inediti nella storia dell’uomo: l’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, le quantità di ghiacci e nevi sono diminuite, il livello dei mari si è alzato. Nei decenni il clima si è surriscaldato progressivamente, e si può dire con buona certezza che il periodo tra gli anni tra il 1983 e il 2012 è stato il trentennio più caldo negli ultimi 1400 anni per quanto riguarda l’emisfero boreale. «Il gas serra prodotto da attività umane è cresciuto rispetto all’era pre industriale – spiega il rapporto –, soprattutto a causa di fattori economici e all’aumento di popolazione, e ora sta crescendo più che mai. Ciò ha portato a concentrazioni in atmosfera di anidride carbonica, metano e protossido di azoto senza precedenti almeno negli ultimi 800mila anni. I loro effetti, assieme a quelli di altri fattori di origine antropica, sono stati rilevati in tutto il sistema climatico, ed è estremamente probabile che essi siano stati la causa dominante del riscaldamento osservato a partire dalla metà del 20esimo secolo».

A leggere certi dati viene da dire che “non c’è niente di nuovo sotto il sole”, perché certi assunti siamo ormai abituati a sentirceli dire (e spesso a ripeterli) senza troppo pensare alla reale gravità del problema. La rilevanza della notizia sta però nelle conferme che gli studi continuano a offrire alle ipotesi degli scienziati. Un conto è pensare a politiche di contenimento delle emissioni perché queste potrebbero causare un danno a lungo termine per il pianeta. Altra cosa è leggere una serie di report che confermano che certamente ci saranno dei danni se non si cambia direzione al più presto. «Molti aspetti del cambiamento climatico e gli impatti a esso associati continueranno per secoli, anche se le emissioni antropiche di gas a effetto serra venissero arrestate ora. I rischi di cambiamenti bruschi o irreversibili aumentano al crescere dell’entità del riscaldamento». Si tratta quindi di ridurre l’impatto di eventi che comunque sono destinati a verificarsi.

L’uomo è chiamato a limitare i danni della propria impronta sul pianeta, per assicurare un futuro alle prossime generazioni: «Senza sforzi di mitigazione supplementari rispetto a quelli in atto oggi, e anche con l’adattamento, entro la fine del 21esimo secolo il riscaldamento porterà a un elevato (o molto elevato) rischio di impatti forti, diffusi, e irreversibili a livello globale. La mitigazione comporta un certo livello di co-benefici e di rischi a causa di effetti collaterali negativi, ma questi rischi non comportano minacce paragonabili a quelle del cambiamento climatico».