Gli episodi di cori razzisti rivolti a giocatori di colore non sono purtroppo una novità nel calcio italiano. Sono però piuttosto rari provvedimenti decisi contro le tifoserie che si rendono protagoniste di tali azioni. Secondo una dettagliata ricostruzione del Post ci sono diversi fattori che concorrono a rendere inefficace la giustizia sportiva quando si tratta di punire eventi di questo tipo.

I problemi della giustizia sportiva

La giustizia sportiva si applica infatti soltanto a «tesserati e affiliati alla struttura professionistica del calcio italiano», non al resto del pubblico negli stadi. «Per questo motivo il giudice si rifà sulla società e sul settore dello stadio occupato dai responsabili, punendo così anche chi non ha colpe». Dal 2017 c’è anche un codice etico che dovrebbe servire alle società come strumento per intervenire a sanare la situazione. Ma queste non lo applicano quasi mai. Resta quindi la giustizia ordinaria a occuparsi delle sanzioni da applicare, ma essa interviene solo quando ci sono reati, e può giudicare solo sui singoli tifosi, giudicando caso per caso. A prendere misure decise ed esemplari dovrebbero essere quindi le società, che però tendono a sottrarsi in ogni modo da questo compito. Nel caso della partita Atalanta-Fiorentina, giocata durante l’ultimo turno di campionato, l’Atalanta non ha preso nessuna misura contro i tifosi che hanno insultato l’attaccante delle Fiorentina Dalbert Henrique. È intervenuto il giudice sportivo, con una sanzione di 10mila euro contro la società. Una cifra decisamente modesta, se si pensa che «nello stesso comunicato il giudice sportivo ha multato di 15.000 euro la Roma per le proteste di un preparatore atletico nei confronti dell’arbitro e di 10.000 la Juventus per un laser verde puntato dai suoi tifosi verso il giocatore dell’Inter Lautaro Martinez». Eppure usare il codice etico in casi come questo è possibile, come ha dimostrato la Roma nel bandire un suo tifoso a vita per insulti razzisti a calciatori di Serie A (in quel caso tramite social network).

Le società minimizzano

È evidente comunque che le società in generale hanno un atteggiamento piuttosto accomodante verso gli episodi di razzismo. Talvolta si arriva a situazioni surreali, in cui presidenti di squadre arrivano a negare che gli insulti razzisti ci siano stati, o quando si leggono comunicati o tweet in cui si minimizzano gli episodi e si invita a non “scadere in luoghi comuni”. Un atteggiamento inaccettabile in uno sport che attrae migliaia di giovani, che cresceranno e formeranno le proprie idee e la propria personalità all’interno degli ambienti sportivi. Dare l’idea che si possa sempre e comunque farla franca, avallando implicitamente episodi molto chiari ed evidenti, contribuirà a creare i mostri che dovremo combattere domani. Consegnare la cultura calcistica e sportiva italiana a gruppi di tifosi organizzati, spesso legati a interessi criminali e politici che nulla hanno a che fare con lo sport, significa venire meno alle proprie responsabilità di dirigenti, e rendersi complici della creazione e proliferazione di un ambiente tossico.

(Foto di Giampaolo Macorig su flickr)