Il National Geographic esce questo mese con un numero speciale dedicato al razzismo. Riportiamo di seguito un estratto dall’articolo di Patricia Edmonds che ricostruisce la storia di due gemelle il cui colore della pelle mette in crisi tutti gli stereotipi e le convinzioni errate che tutti noi abbiamo sul concetto di “razza”.

Amanda Wanklin e Michael Biggs non hanno nemmeno preso in considerazione le difficoltà che avrebbero potuto affrontare come coppia mista. Erano innamorati, punto e basta. «Contava di più quello che volevamo noi due», racconta Amanda.

I due si sono stabiliti a Birmingham, in Inghilterra, pronti a metter su famiglia. Il 3 luglio 2006 sono nate due gemelle dizigote e i genitori felici hanno dato loro nomi incrociati: Millie Marcia Madge Biggs, e Marcia Millie Madge Biggs.

Fin da piccole, le gemelle mostravano tratti simili ma combinazioni di colori molto diversi. Marcia aveva i capelli castani e la pelle chiara come la mamma inglese, Millie i capelli e la pelle scura come il padre di origine giamaicana. «Non ce ne siamo mai preoccupati, è così e basta», spiega Michael.

«Quando erano piccole», ricorda Amanda, «spingevo la carrozzina e le persone guardavano me, poi una bambina, poi l’altra e alla fine mi chiedevano:
“Sono gemelle?”
“Sì.”
“Ma una è bianca e l’altra è nera.”
“Sì, è la genetica”».

Non erano né ostili né giudicavano, erano solo incuriositi, precisa Amanda. Poi, «col passare degli anni, vedevano solo la loro bellezza».

Le gemelle sanno cos’è il razzismo. «Il razzismo è quando qualcuno ti giudica per il colore della pelle e non per chi sei davvero», spiega Millie. Secondo Marcia, «è una cosa brutta, perché può ferire i sentimenti di una persona». Entrambe dicono di non percepire razzismo in chi nota le differenze nel loro aspetto.

Amanda, che lavora come infermiera a domicilio, chiama Millie e Marcia il suo miracolo, «uno su un milione». Non è però così raro che una coppia mista dia alla luce gemelli dizigoti, ognuno dei quali eredita le caratteristiche distinte di un solo genitore, spiega la genetista statistica Alicia Martin. Le probabilità variano per ogni coppia in base al loro corredo genetico, prosegue Martin, ricercatrice al Broad Institute di Cambridge, in Massachusetts.

Una coppia di gemelli dizigoti rappresenta circa l’1 per cento delle nascite. Quando avviene con una coppia multietnica, i tratti che emergono in ogni bambino dipendono da molte variabili, tra cui «la provenienza degli antenati e la complessa genetica del pigmento», spiega Martin. Inoltre, le ricerche sul colore della pelle sono complicate da «preconcetti nello studio; sappiamo meglio cosa schiarisce la pelle chiara rispetto a cosa scurisce la pelle scura». Il colore della pelle, osserva, «non è un tratto binario» che prevede solo due possibilità, ma «un tratto quantitativo in cui ognuno possiede un gradiente dello spettro».

Michael, titolare di due centri di autoriparazione, racconta di aver avuto problemi in passato a causa del colore della pelle. Ricorda come fosse ieri la volta in cui, da ragazzo, degli uomini a bordo di un’auto insultarono lui e i suoi fratelli. «Oggi però è diverso», aggiunge. Né lui né Amanda hanno mai assistito ad atteggiamenti razzisti nei confronti delle gemelle.

«Chi ci vede pensa che siamo solo buone amiche», racconta Marcia. «Appena diciamo di essere gemelle, sono tutti un po’ sorpresi, perché una è nera e l’altra è bianca».

Ma quando chiedi alle gemelle in che cosa sono diverse, sono altri gli elementi che emergono. «A Millie piacciono le cose da ragazza, le piace il rosa e quelle cose lì», dice Marcia. «A me il rosa non piace, sono un maschiaccio. Ognuno è fatto a modo suo».

Vedendo la pelle scura della brasiliana Angélica Dass e i toni rosa del marito spagnolo, molti si chiedevano come sarebbero stati i loro figli. Per avere un’idea, Dass cominciò a osservare con attenzione la pelle dei suoi familiari, le cui carnagioni europee e africane vanno dal «pancake alle arachidi, ino al cioccolato».

Per mostrare questa varietà, nel 2012 ha fotografato se stessa, il marito di allora e le rispettive famiglie. Prendendo alcuni pixel dai nasi, li ha abbinati a una mazzetta di campioni cromatici Pantone, incontrastata autorità per gli standard di colore. È così che è iniziato il progetto Humanae, che raccoglie 4.000 ritratti e una miriade di colori umani da 18 Paesi.

Il colore della pelle continua a influire sul trattamento delle persone anche nel XXI secolo. «Questa disumanizzazione dell’uomo avviene proprio oggi», commenta Dass. «Ai confini della Libia o nella nostra vita quotidiana, quando qualcuno non ha la stessa nostra libertà è perché lo stiamo trattando come se fosse un po’ meno umano».

Dass incolpa quella che chiama la nostra palette cromatica “binaria”. Quando aveva sei anni, la maestra le disse di usare la matita “color pelle”. «Ho guardato quel rosa e ho pensato, Come le dico che la mia pelle non è di questo colore?». Quella notte, pregò di svegliarsi bianca. In seguito, quando studiava moda e design, ha imparato a distinguere migliaia di sfumature in ogni colore. Lo racconta agli studenti quando presenta i suoi progetti nelle scuole, ma molti lo sanno già. «I ragazzi non si descrivono come bianchi o neri, siamo noi a insegnarglielo», aggiunge. Sono stati dei ragazzi, racconta, a coniare i nomi di colori come arachide e cioccolato che ora usa per descrivere la sua famiglia.

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L’articolo continua sul National Geographic di aprile 2018.