Due sentenze di altrettante corti (quella d’appello di Torino e quella di Cassazione) hanno smosso in maniera profonda la normativa in materia di tutela delle vittime di reati sessuali (e di reati violenti in generale). La più recente riguarda i risarcimenti per le vittime. Secondo la sentenza emessa a Torino, da oggi sarà lo Stato a versare le somme a loro dovute, nel caso in cui l’imputato non sia in grado di farlo (perché non ha soldi, o è latitante, o non capace di intendere).
La corte d’appello recepisce così una direttiva dell’Unione Europea del 2004, già applicata dagli altri Stati membri e finora disattesa in Italia, che prevede l’istituzione di un fondo per questo tipo di reati. Ciò che si auspica è che il caso in questione (sollevato da una ragazza rumena, 18enne all’epoca dei fatti, aggredita nel 2005 da due connazionali), oltre a rendere giustizia alla persona che l’ha subito, abbia come ricaduta una legge, e che quindi possa applicarsi in generale ad altri episodi di questo tipo.
«È una vittoria importantissima –ha commentato il procuratore generale Fulvio Rossi– : spesso le vittime non hanno coraggio o mezzi per difendere i propri diritti che sono tutelati più dall’Europa che dall’Italia, dove vige ancora una vecchia cultura penalista che ignora la tutela della persona offesa concentrandosi sulle garanzie dell’imputato». Speriamo quindi che la politica recepisca l’importanza di adeguarsi alle disposizioni europee istituendo un fondo per i reati intenzionali e violenti come omicidi, lesioni dolose e violenze sessuali.
Altro caso che ha fatto parlare di sé è quello della sentenza della Corte di cassazione su un episodio di stupro di gruppo. In sostanza, la Corte ha stabilito che per questo tipo di reati le misure cautelari per gli accusati (quindi in attesa di giudizio) non dovrà più essere necessariamente il carcere, come aveva stabilito una legge del 2009, ma sarà il giudice a valutare, caso per caso, quale sia la misura più adatta a tutelare le vittime. Purtroppo giornali e tv non hanno perso tempo per distorcere e diffondere la notizia, suggerendo che in pratica si dava il via libera agli stupratori, che da quel momento avrebbero potuto girare a piede libero anche se rei di una molestia gravissima.
La Corte ha invece scritto una cosa diversa, ossia che è incostituzionale quanto disposto dalla legge n. 38 del 2009, che obbligava il giudice a disporre il carcere preventivo, mentre adegua l’attuale normativa a quanto già disposto dalla sentenza n. 265 del 2010, relativa agli atti di violenza sessuale compiuti da singoli e per quelli ai danni di minori.
Due sentenze importanti, si diceva. La prima perché cambia lo status della vittima, che ora risulta meglio tutelata. La seconda, più che altro, per la sua risonanza e per la percezione di giustizia derivata da un’azione di disinformazione generalizzata. Nei fatti, semplicemente una maggiore tutela per gli imputati, e per l’attività del giudice, che torna ad avere un ruolo pieno di valutazione. E anche per le condizioni di vita nelle carceri, che difficili lo sarebbero a prescindere, ma che la reclusione di altri presunti innocenti renderebbe ancora più colpite dal problema dell’affollamento.