Sta per prendere il via la raccolta delle richieste di erogazione del “reddito di cittadinanza” (tutte le informazioni sul sito ufficiale), ma dall’importante misura di contrasto alla povertà (o meglio di supporto all’occupazione) rischiano di restare esclusi gli oltre 50mila senza tetto presenti in Italia. Come spiega il giornalista Simone Cosimi su Wired, infatti «Il 95 per cento dei senza tetto censiti – secondo l’Istat sono in totale 50.724 – rimarrà escluso dal reddito visto che non dispone di documenti in regola proprio perché, nella stragrande maggioranza dei casi, i comuni non concedono il meccanismo di residenza fittizia».

Solo circa 200 città hanno provveduto a registrare i senza tetto che di fatto abitano le strade comunali, fornendo loro un indirizzo e quindi permettendo loro di essere in regola con i documenti. Si tratta di una quota piuttosto piccola rispetto al totale, nonostante ci sia chi si sta attrezzando per fare in modo che anche gli homeless possano ottenere il requisito della residenza, necessario ad accedere al “reddito di cittadinanza”. «A Milano, per esempio – spiega Cosimi –, l’esperimento di residenza fittizia in alcune case comunali sarà esteso: nel capoluogo lombardo sono stati 300 gli homeless che nel corso degli ultimi mesi si sono registrati al Cam Garibaldi. L’amministrazione Sala intende estendere la pratica a tutta la città con quattro nuovi sportelli in diverse zone, dalla 4 alla 8. A Roma dal 2017 chiunque avesse residenze fittizie per esempio in un ente caritatevole, dalla Caritas alla Comunità di Sant’Egidio al Centro Astalli, ha dovuto trasferirla all’indirizzo virtuale (perché inesistente) di via Modesta Valenti dal numero 1 al 15, quanti sono i municipi della Capitale. Ma si tratta solo delle due principali città italiane: 7.800 comuni rimangono sprovvisti di simili soluzioni e dunque tagliano migliaia di persone dal diritto di voto, dai documenti d’identità e dalle relative certificazioni, dai contributi o dalle prestazioni sanitarie – dai Centri di salute mentale ai consultori fino ai Sert – e appunto dallo strombazzato reddito di cittadinanza».

Un pannello di associazioni, riunito sotto il nome di Alleanza contro la povertà in Italia, ha elaborato delle linee guida che contengono dei suggerimenti su come migliorare il provvedimento sul “reddito di cittadinanza”. Al punto 9 del documento è stata introdotta proprio la richiesta di «Riconoscere la realtà delle persone senza dimora. Si sostengono le proposte della FIO-PSD (Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora), aderente all’Alleanza, finalizzate a tenere conto delle effettive condizioni delle persone senza dimora nell’accesso al RdC e nei successivi passaggi».

Sul sito di fio.PSD compare una sintesi della nota presentata in Senato dall’associazione. Nel documento si fanno rilevare diversi problemi, oltre al già citato problema della residenza fittizia. «Può succedere che una persona, mentre percepisce il reddito di cittadinanza, venga sfrattata e perda la residenza. In questo caso, alla situazione di difficoltà, si aggiungerebbe la perdita del diritto al reddito di cittadinanza, posto che la legge prevede che il requisito della residenza debba sussistere per tutto il periodo di percezione del beneficio». Ed ecco quindi la soluzione proposta: «Si propone pertanto la seguente modifica all’Art. 2, comma 1, lettera a) numero 2 per tutta la durata del beneficio in modo continuativo; in caso di perdita della residenza sarà sufficiente l’elezione di domicilio nel comune in cui la persona si trova».

In generale, fio.PSD punta a tenere alta l’attenzione su una fetta di “poveri” che spesso, in quanto invisibili (o peggio inesistenti) a livello burocratico, rischiano di restare esclusi da provvedimenti che pure sono teoricamente pensati per persone come loro. «Teniamo a sottolineare che la povertà estrema (grave deprivazione materiale) è emblema della multidimensionalità della povertà essendo – secondo la definizione della Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani – un intreccio di povertà sia assolute che relative di beni materiali, di competenze, di possibilità e capacità che si combinano in situazioni di fragilità personali multidimensionali e stadi di bisogno estremi e che secondo l’ultima rilevazione coinvolge in Italia oltre 50 mila persone (Istat 2015)».