foto di Zsuzsanna Kilian«Perché dobbiamo far entrare il privato se possiamo avere società pubbliche che, amministrate bene, non hanno la preoccupazione del lucro?». La domanda se la pone il sindaco di Belluno, Antonio Prade, in quota Pdl. Ed è la stessa che ci faremo tutti noi (quelli che andranno a votare, almeno) nel breve momento di isolamento e privacy concesso dalla cabina elettorale, in cui saremo solo noi, la scheda e la matita. Oggi torniamo sui due quesiti sulla gestione dell’acqua previsti dal referendum del 12 e 13 giugno. Il primo riguarda la “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”. L’abrogazione dell’articolo 23 bis del dl 112 del 25 giugno 2008 avrebbe l’importante effetto di lasciare così com’è il rapporto tra gestione privata e pubblica della risorsa. A oggi infatti, l’ingresso dei privati è previsto dalla legge Galli (1994), e infatti in alcuni Ato (Ambiti territoriali ottimali, ossia le porzioni in cui è stata sezionata la mappa dell’acqua italiana) la gestione mista è già realtà, con importanti risultati. In Sicilia, per esempio, l’Ente Acquedotti Siciliani è stato sostituito da Siciliacque, privata al 75 per cento. «Sono state ridotte le perdite idriche per un volume pari al fabbisogno di una città come Gela», spiega Giuseppe Altamore, giornalista, sulle pagine del settimanale Vita in uscita venerdì. All’altro capo d’Italia, la provincia di Belluno è gestita da una società i cui azionisti sono i 67 municipi che la compongono, ognuno dei quali conta per un sessantasettesimo nelle decisioni. Il mancato raggiungimento del quorum avrebbe il paradossale effetto di imporre l’ingresso del privato in un contesto in cui il pubblico funziona benissimo. Entro il 31 dicembre entrerebbero infatti in vigore le disposizioni della legge Ronchi, che prevede la progressiva riduzione della percentuale pubblica al 40 e poi al 30 per cento. Tra i probabili effetti ci sarebbe per il cittadino un aumento delle tariffe. Perché un soggetto che intraprende un’iniziativa imprenditoriale, lo fa per avere degli utili.

Di guadagni si occupa l’articolo in votazione al secondo quesito referendario, che chiede un parere sull’abrogazione del comma 1 dell’articolo 154 del dl 152 del 3 aprile 2006. In sostanza, questa norma prevede che il gestore possa caricare sulla bolletta un 7 per cento come remunerazione del capitale investito, senza alcun vincolo di reinvestimento nel miglioramento del servizio. Un bell’incentivo a entrare nel mercato, vista la garanzia di utili immediati. Ma con quali effetti per la rete idrica? Questa consultazione deve dare un segnale forte alla politica. Il sì al primo quesito sull’acqua per dire che la presenza del mercato nella gestione dell’acqua non è un male in sé, anzi è già prevista e praticata, ma non ha senso imporla. Il secondo sì per dire che sull’acqua non si specula, perché è un bene collettivo e di prima necessità. Poi, da lunedì sera, sarà il momento di pensare a una riforma della gestione idrica, che spinga verso una maggiore efficienza della rete, e quindi una distribuzione più capillare e virtuosa, e magari, dove possibile, una riduzione delle tariffe. (Referendum – 3. Continua)