L’Italia vuole dotarsi di un registro unico obbligatorio delle protesi mediche impiantate nel corpo dei pazienti. L’iniziativa si inserisce in un ampio ridisegno della governance dei dispositivi medici lanciato dal Ministero della salute, presentato a marzo alle Regioni.
L’inchiesta internazionale sugli Implant Files
La decisione del Ministero arriva a qualche mese di distanza da una grande inchiesta collaborativa condotta dall’International Consortium of Investigative Journalism, chiamata Implant Files, alla quale hanno collaborato per l’Italia L’Espresso e Report. Per capirci, si tratta dello stesso consorzio di giornalisti dei Panama Papers, che hanno avuto copertura molto maggiore, forse perché tiravano in ballo nomi illustri della politica e del business. Gli Implant files riguardano le protesi impiantate in milioni di pazienti in tutto il mondo. A differenza di altri mercati, come quello delle automobili, per le protesi non esiste un sistema univoco che ne consenta la tracciabilità e l’eventuale “richiamo” se vengono rilevati dei problemi di progettazione. Trattandosi di dispositivi tecnologicamente molto avanzati, che intervengono su pazienti in condizioni di salute molto delicate, è abbastanza sorprendente che non esista un sistema di questo tipo. Parliamo di valvole cardiache, pacemaker, defibrillatori, protesi ortopediche, neurostimolatori, ecc. Nella stragrande maggioranza dei casi, i dispositivi impiantati hanno un effetto positivo sulla salute e la qualità della vita del paziente. Ciò non toglie che, come si legge nei dati pubblicati qualche mese fa, solo nel 2017 ci siano stati 292.571 feriti e 9.006 morti a causa delle protesi. E non si tratta dell’anno più drammatico tra quelli indagati, dal punto di vista delle vittime: si calcola infatti che i morti nel 2014 siano stati circa 20mila i morti a causa delle protesi.
Il registro esiste, ma non è obbligatorio
In Italia, come in molti altri paesi, esistono dei registri delle protesi, ma vengono compilati su base volontaria e quindi contengono dati parziali. «Per vendere qualsiasi congegno da inserire nei pazienti, basta una certificazione rilasciata da società private, scelte e pagate dagli stessi fabbricanti – scrive L’Espresso –. Una certificazione industriale, il marchio CE, come per i frigoriferi, i giocattoli e mille altri prodotti comuni, che non finiscono sotto la pelle dei cittadini. Anche i dispositivi a più alto rischio, dagli apparecchi per il cuore alle protesi permanenti, obbediscono a regole molto meno severe di quelle previste per i farmaci. E dopo l’impianto le autorità sanitarie, in Italia come in molti altri paesi, non sono in grado di rintracciare gran parte delle vittime». Nei piani del ministero, un’attenzione particolare sarà riservata alle protesi mammarie, che saranno elencate in un registro a parte.
Attualmente solo l’Olanda ha un registro obbligatorio per questo tipo di protesi. Oltre alla tracciabilità, l’altro obiettivo del governo con questa iniziativa è evitare un eccesso di cure non necessarie e, di conseguenza, razionalizzare le spese della pubblica amministrazione. Per una sintesi dei contenuti di quanto presentato dal ministero rimandiamo a questo articolo. Tra le finalità dell’azione ministeriale, oltre alla tracciabilità in caso di malfunzionamenti, e quindi alla tutela del malato, ci sono l’istituzione di un database unico in cui tutti i dispositivi dovranno essere registrati e la lotta alle politiche di vendita scorretta da parte dei produttori, che spesso piazzano i propri prodotti a prezzi diversi a seconda dell’area geografica.
I numeri delle protesi in Italia
«Sfiora ormai 200.000 il numero di interventi di impianto di protesi ortopediche effettuati ogni anno nel nostro Paese», si legge nel documento di presentazione del Registro italiano artroprotesi. «Un numero in costante aumento con un impatto sul Fondo sanitario, per il solo intervento chirurgico, stimabile al di sopra del 1,5 per cento. Rispetto al 2001 è quasi triplicato il numero di interventi sul ginocchio e più che quintuplicato il numero di quelli sulla spalla. L’anca resta ancora l’articolazione più operata (54 per cento) seguita da ginocchio (40 per cento), spalla (5 per cento), caviglia e altre articolazioni (1 per cento). Più di 700 le strutture coinvolte, molte delle quali effettuano meno di 50 interventi all’anno, una soglia al di sotto della quale sembrerebbe essere più probabile il rischio di reintervento». Gli scopi dichiarati del Registro sono «erogare ai pazienti le migliori cure, tutelare la loro sicurezza e rintracciarli rapidamente in caso di evento avverso». Per quanto riguarda le sole protesi mammarie, si legge in un altro documento del ministero, i numeri dicono che ogni anno ne vengono impiantate circa 51mila, coinvolgendo un totale di circa 35mila donne.
(Foto di Zsolt Hubicska su Unsplash)
pienamente d’accordo sull’utilizzo di un registro che permette la tracciabilità di questi dispositivi.