Nelle scorse settimane abbiamo lasciato in sospeso l’esito di due vicende politiche molto importanti: il taglio ad alcuni fondi per il sociale e la riforma delle Rems, che ne avrebbe tradito il carattere “residuale” rispetto agli Ospedali psichiatrici giudiziari. Una delle due si è conclusa bene, l’altra meno. Partiamo dalla prima, ossia i tagli al fondo per le non autosufficienze e al fondo per le politiche sociali (rispettivamente di 50 e 210 milioni di euro). La misura si doveva a un accordo raggiunto nel corso della Conferenza Stato-Regioni del 23 febbraio. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, interrogato, aveva confermato la notizia, aggiungendo di non essere stato nemmeno consultato, visto che la firma era arrivata grazie a un altro ministero, quello dell’Economia.

La novità è che c’è stato un nuovo incontro, voluto dal presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Stefano Bonaccini, organizzato proprio per discutere la situazione denunciata dal mondo dell’associazionismo, stavolta alla presenza del ministro Giuliano Poletti. Sembra che il buon senso abbia prevalso stavolta, almeno stando al comunicato diffuso dal Ministero del lavoro, che dice tra l’altro: «Nel corso dell’incontro, il Ministro Poletti e il Presidente Bonaccini hanno convenuto sulla necessità di riportare la dotazione di risorse all’ammontare precedente all’intesa. E proprio con la finalità di ripristinare l’entità delle risorse destinate al fondo per le non autosufficienze e alle politiche sociali, il Presidente Bonaccini ha espresso la volontà delle Regioni di procedere ad un recupero delle risorse da destinare alle non autosufficienze e il Ministro Poletti, a sua volta, ha espresso la volontà del Governo di intervenire per recuperare le risorse da destinare al rafforzamento delle politiche sociali territoriali».

“Cauta soddisfazione”, come si dice in questi casi, è stata espressa dalle associazioni. Vincenzo Falabella, presidente di Fish Onlus, ha aggiunto però un elemento di critica: «Ci saremmo aspettati che fosse affrontata anche un’altra emergenza che sta divenendo cronica: l’individuazione di adeguati stanziamenti a garanzia del trasporto e dell’assistenza scolastica per gli alunni con disabilità. Al contrario ancora il silenzio. Un’altra battaglia da proseguire a Roma e nelle Regioni». Ancora una volta, come già abbiamo rilevato più volte, il tempo e le energie impiegate a evitare che si compiano passi indietro nella tutela delle persone in difficoltà, impedisce di averne poi a disposizione per promuovere nuove riforme e inseguire nuovi traguardi. Per limitare i danni, si devono posticipare altre battaglie. È una dinamica che si ripete in maniera talmente puntuale da farci pensare che si possa parlare, in certi casi, di strategia.

Fin qui le buone notizie (e proprio il fatto di portarci a chiamarle così è la più grande vittoria di tale strategia), perché invece non c’è stato alcun dietro front per quanto riguarda la riforma del codice penale che apre all’ingresso di nuovi soggetti nelle Rems. In questo caso a nulla sono valsi gli appelli per evitare un’involuzione rispetto a un tema, la chiusura degli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari), su cui si era appena finito di mostrare “cauto ottimismo” (altra formula inevitabile). Tra le tante voci di protesta, riprendiamo alcuni passaggi da uno scritto pubblicato da Pietro Pellegrini, direttore del Dipartimento salute mentale dell’Ausl di Parma. Pur criticando la direzione intrapresa con l’emendamento al ddl Giustizia, Pellegrini cerca di essere costruttivo nello sforzarsi di spiegare al legislatore come si stia reiterando una logica carceraria dalla quale il mondo della psichiatria cerca invece di affrancarsi fin dai tempi di Franco Basaglia e della legge che da lui ha preso il nome.

«Le Rems in quanto “Residenze” hanno evidenziato punti di forza ma anche evidenti limiti e, come previsto dalla legge 81/2014, devono conservare una funzione residuale. Non solo ma considerare la Rems la sola sede idonea per le sopraggiunte infermità mentali in corso di detenzione (art 148 c.p.), le osservazioni (art.112 c.p) significa non solo correre il rischio di avere “miniOPG”, ma di stabilizzare e non rendere residuali le Rems e spingere il sistema ad aprire altre Rems quando invece occorrerebbe una profonda riforma dell’assistenza psichiatrica negli istituti di pena (accompagnata da una forte spinta alla regionalizzazione, umanizzazione e alla promozione dei diritti) e creando valide alternative nel territorio come per altro indicato nella relazione finale degli Stati Generali per l’Esecuzione della Pena. Occorre passare dalle Rems ai Progetti Terapeutico Riabilitativi Individualizzati per persone con disturbi mentali autrici di reato da realizzarsi nelle sedi più adeguate. Al contempo è utile aprire sperimentazioni per i soggetti più gravi, complessi e non responder, che pongono anche alti problemi di custodia. […] Prevedere ope legis chi può entrare nelle Rems significa seguire un ragionamento giuridico e una possibile via di uscita per istituti di pena sovraffollati. L’approccio medico vuole che si proceda ad una diversificazione dei bisogni e alla definizione degli interventi per intensità di cura lasciando in secondo piano le posizioni giuridiche delle persone».

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