
Per fare volontariato bisogna stare bene. Un assunto che i donatori di Avis Legnano (e di Avis in generale, ovviamente) conoscono molto bene, perché sanno quanto sia importante per l’associazione innanzitutto la salute del donatore, a garanzia della massima efficienza e sicurezza del sistema sangue. Leggendo i dati del report “Attività gratuite a beneficio di altri” (qui il testo integrale), elaborato da Istat, CSVnet e Fondazione Volontariato e partecipazione, il concetto di “stare bene” va però allargato anche alla sfera economica. Secondo lo studio sono infatti le persone con più alto titolo di studio, occupazione stabile e retroterra familiare più agiato a impegnarsi maggiormente nel volontariato.
La prima considerazione che può venire in mente, a caldo, è che il volontariato sia “roba da ricchi”, un’occupazione per chi ha tempo libero, e non deve affannarsi giorno per giorno a far quadrare i conti domestici. Che, dopo tutto, è anche comprensibile. Se impiego tutto il mio tempo a garantire la mia sopravvivenza, e quella di una famiglia se c’è, sarà più difficile trovare spazi anche solo per pensare di occuparsi degli altri. Il che non va letto in senso negativo, di filantropia come occupazione per borghesi un po’ snob intenti a lavare la colpa del proprio benessere. A nostro avviso, da un lato le condizioni materiali favoriscono la possibilità di investire il proprio tempo in attività di volontariato, dall’altro non va dimenticato che quest’ultimo è cultura, e quindi una maggiore scolarizzazione può avvicinare con più probabilità a forme organizzate di solidarietà.
Come sempre, è il “circolo virtuoso” il meccanismo vincente per fare sviluppare un sistema, molto più dei finanziamenti a pioggia o dell’assistenzialismo. Una società di persone che stanno bene e hanno tempo libero sarà probabilmente anche una società in cui si fa molto volontariato. Al contrario, se il pensiero fisso è come arrivare a fine mese, probabilmente la società sarà più chiusa nel privato familiare o individuale. Salvo ovviamente le piccole realtà locali dove l’auto-aiuto si esprime anche in forme non organizzate, perché lo spirito di comunità è in grado da solo di innescare iniziative solidali. Lo studio che citavamo in apertura prova a tenere conto anche di queste forme associative non necessariamente legate al terzo settore come comitati, movimenti, gruppi informali e altro. «Circa un italiano su otto svolge attività gratuite a beneficio di altri o della comunità – si legge sul sito di Istat – . In Italia il numero di volontari è stimato in 6,63 milioni di persone, (tasso di volontariato totale pari al 12,6 per cento). Sono 4,14 milioni i cittadini che svolgono la loro attività in un gruppo o in un’organizzazione (tasso di volontariato organizzato pari al 7,9 per cento) e tre milioni si impegnano in maniera non organizzata (tasso di volontariato individuale pari al 5,8 per cento)».
In quest’ottica di sistema, riprendiamo le interessanti considerazioni del presidente di Avis nazionale, Vincenzo Saturni: «Numerosi studi hanno misurato la valorizzazione economica del volontariato all’interno dell’approccio costi-benefici e del calcolo dell’efficienza degli investimenti. In particolare, è stato dimostrato che ogni euro investito nel non profit corrisponde ad un ritorno economico di circa 12 euro per la collettività. Oltre all’indubbio valore etico, vi è quindi un non trascurabile valore economico del non profit, che rappresenta una valida risposta alla crisi non solo finanziaria, ma anche di valori che stiamo vivendo in questi ultimi anni. Tutti possono dare il proprio contributo e possono rendersi diretti portavoce di quei valori che sono alla base della convivenza solidale basata sulla solidarietà e sul sostegno reciproco».
Visto che siamo in tema di conteggi e gesti di solidarietà, ci teniamo a dire grazie a quel milione e 300mila donatori che nel 2013 hanno permesso di raccogliere oltre 2 milioni e 100mila unità di sangue ed emoderivati.