Il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) ha pubblicato una ricerca approfondita sullo stato della ricerca e dell’innovazione in Italia. Il resoconto, come si potrà immaginare, non è positivo, a causa della scarsa quantità di investimenti pubblici e privati in questi settori strategici. Nonostante questo, la pubblicazione scientifica effettuata in Italia è di altissimo livello per qualità e quantità, e negli ultimi anni ci ha fatto scalare la classifica internazionale, portandoci al livello del Regno Unito. Un sistema che però non potrà reggere a lungo, e che fa crescere ulteriormente il rammarico per non avere delle politiche sufficientemente aperte su questi temi. «Nonostante i dati di input mostrino delle carenze strutturali – si legge nel volume –, i risultati dell’analisi delle pubblicazioni scientifiche mostrano un cospicuo e inaspettato aumento della produzione italiana sia in termini assoluti sia in termini di quota mondiale. Al consistente aumento in quantità della produzione scientifica italiana corrisponde una altrettanto considerevole crescita della qualità delle pubblicazioni realizzate. Mentre nel 2000 l’Italia ricopriva la terz’ultima posizione tra i paesi analizzati in termini di citazioni per pubblicazione, oggi ha raggiunto il Regno Unito, da sempre al vertice in questa classifica. Le discipline in cui l’Italia offre il maggior contributo relativo agli avanzamenti di conoscenza mondiali (sulla base di citazioni normalizzate totali) sono Fisica e Medicina. Le ragioni che hanno condotto a questo miglioramento complessivo della performance sono da approfondire, soprattutto in relazione all’avvio dei processi di valutazione delle università e degli Enti Pubblici di Ricerca da parte dell’ANVUR».

Altro dato di rammarico è il fatto che non si siano sfruttate appieno le risorse strutturali a disposizione degli enti locali. Si tratta in sostanza dei fondi europei indiretti, cioè quelli che l’Unione europea stanzia per il perseguimento delle politiche comunitarie e li distribuisce agli enti territoriali (Stato e Regioni, nel caso italiano), che poi indicono dei bandi per assegnarli. Se la Regione non pubblica i bandi, o se nessuno si presenta, quei soldi tornano al mittente. Se è vero quindi che stare nell’Unione europea rappresenta un costo, è altrettanto vero che sta all’efficienza degli Stati saper sfruttare le opportunità riservate ai Paesi membri. Questa l’analisi da parte degli autori dello studio: «Il consistente volume di risorse messe a disposizione attraverso i fondi strutturali nel periodo di programmazione 2007-2013, avrebbe potuto giocare un ruolo chiave per il sostegno alla ricerca scientifica e tecnologica e per la promozione dell’innovazione nel territorio nazionale. I dati mostrano, infatti, la rilevanza di tali interventi per il finanziamento della ricerca nelle regioni italiane, soprattutto in quelle meno sviluppate e per le quali la Commissione Europea ha ritenuto opportuno operare per conseguire la convergenza, dove la spesa complessiva in R&S grazie alle politiche di coesione diventa tutt’altro che trascurabile rispetto al dato complessivo italiano. Tuttavia, nonostante un assetto normativo regionale articolato e vario e con risorse disponibili considerevoli, le analisi evidenziano un peggioramento, o la staticità, delle performance innovative delle regioni italiane, nonché la divergenza dagli obiettivi posti in sede UE. La mancanza di uno sforzo teso a garantire un coordinamento tra le priorità europee di intervento in ricerca e innovazione, i temi strategici nazionali sui quali indirizzare le azioni di R&S e le iniziative regionali, che invece sono finalizzate a interpretare e soddisfare gli specifici bisogni del territorio, hanno favorito la parcellizzazione e la sovrapposizione degli interventi, producendo uno scarso impatto delle politiche di coesione sui sistemi di innovazione regionali, soprattutto nel meridione».

Conclusioni piuttosto secche e gravi, che divergono non poco rispetto al racconto che di solito viene fatto rispetto alle possibilità di investimento degli enti territoriali. Qui si parla esplicitamente di un’incapacità di programmazione, del fallimento nel saper leggere e cogliere le opportunità contenute nei programmi europei di sviluppo, almeno per alcune regioni. «L’analisi combinata dei dati concernenti input (la spesa per R&S) e output (pubblicazioni scientifiche, brevetti, commercio hi tech) mostrano la necessità del sistema-paese di valorizzare e moltiplicare meglio l’impatto delle limitate risorse» concludono Daniele Archibugi e Fabrizio Tuzi del Dipartimento scienze umane e sociali, patrimonio culturale (Dsu) del Cnr, che hanno curato il documento. «L’Italia deve elaborare una strategia di smart specialization, dove le risorse disponibili, auspicabilmente in aumento, siano destinate ai settori strategici, partendo dalle competenze esistenti e innestandosi nel sistema produttivo».

(Foto di Bookhaven National Laboratory su flickr)