«Far andare le mani» è un modo di dire, forse più familiare a chi vive al Centro-Nord, per indicare l’azione che porta a un risultato concreto. «Poche chiacchiere», è il presupposto sottinteso. E a Ricicletta le mani vanno, eccome. L’officina delle due ruote (quelle a pedali) di Ferrara ha coinvolto finora più di trenta persone, provenienti dal Dipartimento di salute mentale, impegnate nel recupero e vendita di biciclette. Vecchi telai, mezzi dimenticati in garage o abbandonati per la strada tornano al loro status di bene scambiabile sul mercato, grazie alle cure di questi meccanici speciali.
Il progetto nasce nel 2005 dall’idea di Oreliano Tagliati, per tutti “Nano”, da sempre appassionato di bici e all’epoca presidente del centro anziani di un piccolo comune della provincia ferrarese. Da una chiacchierata con Gaetano Sateriale, allora sindaco di Ferrara, si fa strada l’idea di unire l’intento ecologista, cioè il recupero di vecchie biciclette da rimettere sul mercato, e quello sociale, ossia affidare questa attività alle mani di qualcuno per cui fosse uno strumento di cura e benessere. Destinatari dell’iniziativa diventano alcuni utenti del Dipartimento di salute mentale di Ferrara, che hanno la possibilità di frequentare un corso di formazione, tenuto dallo stesso Nano, che opera come volontario della cooperativa sociale Nuova-Mente. La cosa funziona, si stipula col Comune la convenzione per il recupero bici “di certificata non proprietà”, e iniziano ad arrivarne anche dai cittadini come donazioni. Il problema sede si risolve grazie al Comune, che prima ne mette a disposizione una in zona stazione, tuttora in funzione per le riparazioni, e poi, vista la necessità di spazi più ampi per strutturare l’officina, quella attuale in via Darsena. Il tutto in comodato d’uso gratuito. Queste, in estrema sintesi, le tappe che hanno portato Ricicletta a essere un punto di riferimento per la città e per i turisti (qui si fa anche attività di noleggio).
«A monte di questa operazione c’è la volontà di unire tre aspetti: ecologico, sociale e culturale -spiega Gianluca Gardi, operatore della cooperativa Il Germoglio, in cui è confluita Nuova-Mente-. Il primo è presto detto: rimettiamo sul mercato quelli che sarebbero dei rifiuti, riducendo gli sprechi di materiale ancora prezioso e favorendo l’utilizzo di un mezzo di trasporto che non inquina. Quello sociale è relativo alle persone che inseriamo -prosegue Gianluca-, che acquisiscono delle competenze spendibili sul mercato, oppure qui da noi, se si creano le condizioni per poter assumere una persona in più. Inoltre, hanno la possibilità di vivere in un ambiente totalmente estraneo a quello medico, e in rapporto col pubblico. Quando sono qui sono trattati come persone, risorse, con i propri limiti e qualità. Il mio compito è coordinare i nuovi inserimenti e strutturare l’attività in modo che l’organizzazione interna vada incontro alle capacità di ognuno, e non è sempre facile. L’aspetto culturale si esprime con la relazione che da sempre cerchiamo con altre realtà del territorio. Quando ci è possibile collaboriamo con associazioni, partecipiamo a eventi, cerchiamo di far conoscere il nostro progetto e allargarne i confini».
Ricicletta ci dà la possibilità di tornare su un tema già affrontato su questo blog, ossia l’introduzione di logiche profit nel terzo settore. L’officina si regge infatti da sé, la sua gestione è legata alla capacità di produrre utili attraverso le attività quotidiane, proprio come un’impresa commerciale. «Certo non saremmo in grado di pagare l’affitto a prezzo di mercato per una sede così grossa -riprende Gianluca-, ma le persone assunte sono tutte retribuite dalla cooperativa, oppure dall’ente che le invia che dà una borsa lavoro». E la questione sede preoccupa, visto che l’area su cui sorge è oggetto di un processo di riqualificazione urbanistica che porterà al suo abbattimento entro quattro/cinque anni, da parte dei privati che hanno acquistato il terreno.
Si spera che l’amministrazione avrà la lungimiranza di preservare una realtà preziosa per la città e per chi vi ha ritrovato stimoli per tornare a vivere con più serenità. Come Maurizio, 52 anni, che ha fatto il cuoco per una vita, prima che la cattiva sorte si accanisse proprio sulle sue mani. «Sono qui da due anni e tre mesi -racconta-, e mi rendo conto che il periodo di formazione non finisce mai, ci sono talmente tante cose da imparare. Questo deve diventare il mio lavoro, lo è già, ma devo acquisire competenze, approfondire. Mi piace stare qui, ridare vita alle cose, ho imparato ad apprezzare l’andare in bici. Muoversi lentamente aiuta a guardarsi attorno, senza inquinare». C’è invece chi si è inserito per socializzare, senza l’intento di arrivare a fare di questo un lavoro, come Giorgio, 58 anni, qui dal 2008: «Mi sono diplomato a pieni voti dopo il corso con Nano -racconta orgoglioso-, ma le mani le sapevo far andare già da prima. Mi piace seguire l’assemblaggio della bicicletta “dalla a alla zeta”. Smontare, affrontare gli intoppi, capire, risolvere, e poi lavorarci su finché non raggiunge la frenata perfetta. Che deve bloccare, ma senza rischiare di rompere il meccanismo. Le Bianchi con freno a bacchetta sono le migliori, quelle che danno più soddisfazioni». Mani che imparano a tornare efficienti, mani che imparano a incontrare altre mani. Insomma, sforzatevi pure, ma andare in bici senza mani non è facile come sembra.