Secondo i dati dell’ultimo dossier di Legambiente, aggiornato al 27 luglio, finora sono bruciati circa 75mila ettari di superfici boschive. È il 156 per cento della superficie bruciata nel corso di tutto il 2016, e siamo ancora nella stagione più calda. Nel 2007, l’anno peggiore per gli incendi boschivi, erano bruciati 100mila ettari, quindi c’è ancora il rischio che quest’anno ci si avvicini, o si superi quel dato. Quale ruolo ha avuto la riforma del Corpo forestale del 2016 in questa drammatica situazione? Il sottosegretario al Ministero della semplificazione e pubblica amministrazione, Angelo Rughetti, su Twitter è stato molto chiaro sul punto di vista della pubblica amministrazione: nessuno. Il sito web Lavoce.info si è dunque lanciato in un fact-checking che ha prodotto, a due settimane dal tweet (i tempi della verifica puntuale sono lunghi, al contrario di quelli dei social), un articolo che cerca di fare chiarezza.
Prima di addentrarci nei dati, occorre dire che la causa dell’aumento degli incendi è principalmente meteorologica. Come si può vedere consultando il sito dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), nel 2017 le precipitazioni nel periodo estivo sono state molto meno frequenti rispetto al 2016, soprattutto nel Centro-Sud e l’arrivo della stagione turistica ha concorso a innescare l’incremento degli incendi. Se infatti non è chiaro quanti dei roghi siano appiccati volontariamente, è piuttosto certo che la stragrande maggioranza di essi siano causati dall’uomo, per disattenzione o per comportamenti scorretti. Tutto questo vuol dire automaticamente che la riforma del corpo forestale non abbia avuto un impatto sull’attività di soccorso e gestione degli incendi? Certo che no, si tratta di questioni separate.
La norma a cui facciamo riferimento è il decreto legislativo 177 del 2016, che ha ridotto da cinque a quattro le forze di polizia: a sparire è stato il Corpo forestale, che è stato accorpato alle rimanenti. In realtà la maggioranza del personale (oltre 7mila unità) è stata riassegnata all’Arma dei carabinieri e circa 400 persone ai Vigili del fuoco. Ovviamente un riassetto così forte non poteva non avere conseguenze sulla gestione pratica delle emergenze, anche perché al decreto sarebbero dovuti seguire relativi provvedimenti da parte delle Regioni, che non sempre sono stati presi, o che sono arrivati molto in ritardo.
Nel cercare di ricostruire cosa sia venuto a mancare in questa fase dal punto di vista del personale (cosa difficile da quantificare per difficoltà nell’accesso ai dati, con buona pace della trasparenza della pubblica amministrazione), l’articolo di Lorenzo Borga si concentra sui direttori delle operazioni di spegnimento (Dos), cioè chi coordina le operazioni e gestisce il ricorso ai velivoli di soccorso. «Tale personale, appositamente formato, fino al 2016 era a disposizione degli enti locali e dell’ex Cfs (secondo la legge quadro sugli incendi boschivi 353/2000); dopo il 31 dicembre – ultimo giorno di operatività dei forestali – la competenza dei Dos è passata al corpo dei Vigili del fuoco, che la esercitano in collaborazione con le regioni. Secondo i decreti del Corpo Forestale dello Stato di attuazione del decreto legislativo 177/2016, tra i forestali erano 1.056 gli operatori forniti di competenza Dos. Se aggiungiamo – come scrive l’ufficio stampa del ministero dell’Interno, sollecitato direttamente – che “le unità di personale [nel corpo dei Vigili del fuoco, ndr] addette alla funzione di Direttore delle operazioni di spegnimento sono ad oggi 800” capiamo bene come, oltre a disperdere competenze acquisite negli anni, ci sia stato un ammanco di alcune centinaia di uomini e donne con esperienza e formazione nel coordinamento dello spegnimento degli incendi. Per di più i Dos dei VVf sono stati formati unicamente per la gestione dell’intervento aereo, mentre mancano della formazione necessaria alla gestione globale dell’incendio, oltre a non conoscere il territorio forestale rurale come invece l’ex personale del Corpo Forestale dello Stato».
Tra le conseguenze paradossali della riforma (e su cui è altrettanto difficile dare numeri), c’è il fatto che molti mezzi (in particolare elicotteri attrezzati per lo spegnimento di incendi) sono fermi negli hangar per questioni burocratiche o perché mancano i soldi per manutenzione e carburante. Ecco un altro passaggio importante dell’inchiesta: «Secondo l’articolo 13 del decreto legislativo 177/2016 il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf) avrebbe dovuto, entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore (cioè entro il 12 novembre 2016), individuare “le risorse finanziarie, i beni immobili in uso ascritti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato, gli strumenti, i mezzi, gli animali, gli apparati, le infrastrutture e ogni altra pertinenza del Corpo forestale dello Stato che sono trasferiti all’Arma dei carabinieri, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, alla Polizia di Stato e al Corpo della guardia di finanza”. Il decreto manca ancora all’appello, per voce dello stesso generale Antonio Ricciardi, a capo del corpo forestale dei Carabinieri ove sono confluiti più di 6mila ex forestali: in audizione in Senato ha infatti affermato che si tratta di un “decreto interministeriale ancora non definitivo ma di fatto già attuato”. Non abbiamo notizie su come un decreto non ancora emanato possa essere attuato».
In sintesi, è certamente scorretto dire che l’emergenza in corso sia dovuta alla riforma del 2016, ma è altrettanto falso affermare che quest’ultima non abbia avuto alcuna conseguenza.
Con questo post, ZeroNegativo si prende un momento di pausa. Le pubblicazioni riprenderanno il 21 agosto. Buona estate a tutti!
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