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Questa mattina è stata presentata a un comitato ridotto della commissione Finanze della Camera la bozza del decreto legislativo sul gioco d’azzardo, che darà attuazione all’articolo 14 della legge delega in materia fiscale. A breve si conosceranno i dettagli sulle novità che il governo intende introdurre su questa delicata materia, e si capirà la vera direzione in cui vuole andare l’esecutivo. Nei mesi scorsi, infatti, questo ha da una parte sottolineato i rischi derivanti dal gioco, dimostrando però di essere disposto a tutto per “fare cassa”, anche a costo di ignorare il costo sociale delle ludopatie. Aderiamo quindi, come fosse un referendum, ai quattro “no” che il mensile Vita propone come argine per il fenomeno.

Il primo punto è il “no” alla pubblicità dell’azzardo in ogni sua forma. Un provvedimento che sappiamo bene essere applicato in Italia per i tabacchi (e in maniera più blanda per gli alcolici), ma che non si è pensato di estendere ad altri aspetti della vita che facilmente conducono al vizio come, appunto, il gioco d’azzardo. Il giornale ne ha parlato con l’eurodeputata danese Christel Schaldemose (membro tra l’altro del Comitato per la cultura e l’istruzione), che ha raccontato il problema dalla prospettiva comunitaria: «Dovremmo avere un approccio molto più restrittivo per quanto riguarda la pubblicità, soprattutto quando si rivolge ai più giovani, in particolare in contesti sportivi quali le partite di calcio e altre manifestazioni che i giovani seguono regolarmente, in televisione e su internet. Ma è un problema delicato a livello europeo: molti deputati al Parlamento europeo ritengono che non si possa vietare ad un’azienda privata di pubblicizzare il gioco d’azzardo e sostengono che in fondo il problema della dipendenza riguarda solo una fetta minore di chi gioca». Compito della politica sarebbe però quello di difendere le minoranze, proprio perché in una posizione sociale più debole. Evidentemente l’elemento concorrenziale del mercato è considerato più importante della tutela dei cittadini da parte delle istituzioni. Segno dei tempi.

Il secondo “no” è rivolto all’idea di istituire un “Fondo buone cause” attraverso una tassa di scopo da associare al consumo di gioco d’azzardo. In sostanza, una percentuale delle tasse sul gioco destinate allo Stato andrebbe a costituire un fondo per l’avvio di iniziative di recupero sociale per chi è vittima di patologie legate al gioco. L’effetto perverso è ben spiegato nell’articolo di Marco Dotti: «Poiché le risorse per corsi di “prevenzione” nelle scuole e via discorrendo si prendono dalla tassazione sull’azzardo, da un lato l’azzardo legale si ritroverebbe eticamente “ripulito” da ogni forma di contestazione fondata sull’etica pubblica e, dall’altro, sarebbe in futuro impossibile intervenire su di esso e sulle sue distorsioni senza produrre effetti negativi sul settore che da lì trae le proprie risorse (cooperative, cartelli, associazioni, enti, case editrici)».

“No” anche alla cancellazione delle tante leggi regionali che hanno preso iniziative per contrastare il fenomeno dell’azzardo, come quelle sulla distanza delle sale da gioco dai luoghi sensibili (scuole, ospedali, ecc.), sugli orari d’apertura, sugli incentivi fiscali agli esercenti no slot. Su questo, a quanto pare, il decreto non dice nulla, ma anzi precisa che «Eventuali disposizioni di fonte regionale o comunale, comunque incidenti in materia di giochi pubblici, devono risultare coerenti e coordinate con quelle del presente decreto». Chi ha fatto un passo avanti è quindi invitato caldamente a stare al proprio posto e anzi tornare nei ranghi, perché il governo non sembra interessato a regolamentare la materia in questo senso.

“No”, infine, alle dichiarazioni a effetto che non aggiungono nulla di costruttivo alla trattazione del problema, ma si fermano al ritorno mediatico d’immagine del governo che, per esempio, annuncia la rimozione di “100mila macchinette”. Nascondendo poi magari accordi privati con le società che si occupano di fare business con l’azzardo: si trovino piuttosto soluzioni strutturali. È finito il tempo di dare segnali contrastanti per disorientare gli avversari, è il momento (perdonate l’allusione) di mostrare le carte.