giudiceSulla necessità di snellire decisamente i tempi della giustizia (soprattutto civile) ci siamo espressi più volte su ZeroNegativo. È un tema su cui ogni governo ha fatto promesse, salvo poi lasciare la situazione più o meno invariata. L’esecutivo guidato da Matteo Renzi non si esime dal provare a intervenire in merito, arrivando però a fare proposte non particolarmente innovative. Se ne è occupato per il Corriere Luigi Ferrarella, che sul tema si è espresso così: «Con un decreto legge si va dai cittadini impantanati in 5,2 milioni di cause pendenti e li si invita caldamente a portarle fuori dal circuito giudiziario Tribunale / Appello, ad affidarle (salvo che per i diritti indisponibili) ad arbitri privati presi da un elenco dell’Ordine degli Avvocati, e a pagarli per ottenere quella decisione che lo Stato tardava a dare. Un’idea di dubbia attrattiva e neppure tanto originale, marcata com’è dagli stessi virus che scorrazzano già da tempo nell’organismo malato della giustizia: il subappalto ai privati come stabile puntello all’emergenza; la progressiva svalutazione delle garanzie di indipendenza e imparzialità connesse alla giurisdizione; il messaggio che, fuori dalle corsie preferenziali aperte per sorridere ai mercati internazionali (tipo il “Tribunale delle imprese”), giustizia ordinaria resti solo per chi se la può pagare; e l’equivoco di forme di risoluzione alternativa delle controversie non come opzione culturale per ridurre la propensione alla litigiosità, ma come espediente imposto per legge per dirottare su laghetti privati i fiumi di contenzioso civile che tracimino dagli acquedotti tribunalizi».

La soluzione trovata dal governo è potenzialmente pericolosa, perché rischia di cambiare le tempistiche processuali in base alla possibilità di spendere delle parti in causa. Quella di spostare sul privato un affare prettamente pubblico come la giustizia civile è una scorciatoia che punta a spostare un po’ il traffico dei processi fuori dai tribunali, invece di impegnarsi a rendere questi ultimi funzionali ed efficienti. Il tentativo sembra quello, già ampiamente utilizzato dall’esecutivo, della “riforma a costo zero”. Visto che le risorse sono poche, si cerca di spostare la competenza delle questioni più delicate in modo da non doverle davvero affrontare e risolvere. Bisogna anche fare attenzione ai continui annunci di marketing politico che sulla questione vengono lanciati quotidianamente dal presidente del Consiglio: «Certo, per coglierle bisogna andare oltre i tweet con i quali Renzi si è già portato parecchio avanti – prosegue Fardella –: “Garantire un processo civile di primo grado in un anno invece di tre come oggi” è infatti un cinguettio curioso, se a scriverlo è il capo di un governo sul cui sito online i dati Ue mostrano che in materia commerciale una causa civile di primo grado dura in media oggi poco meno di 600 giorni, dunque circa un anno e otto mesi, non tre».

Altra questione su cui intervenire per garantire tempi più rapidi per la giustizia è la semplificazione burocratica, impegno sul quale la politica non ha avuto grande costanza negli ultimi anni. Come scrivevamo su questo blog un anno fa, «per dirla con Sergio Rizzo, in Italia per ogni legge che semplifica ce ne sono quattro che complicano». Così riassume la faccenda nella storia italiana Michele Ainis: «La prima Commissione per la semplificazione burocratica venne istituita nel febbraio 1918; era presieduta da Giovanni Villa, e da lì a poco le succedettero le Commissioni Schanzer e Cassis. Invece la prima legge di semplificazione fu battezzata da Bonomi nel 1921. Ma negli ultimi anni è diventata una parola d’ordine, anche se per lo più genera disordine. Così, ci è toccato in sorte un ministro per la Semplificazione (Calderoli), a sua volta circondato da una Commissione parlamentare, un Comitato interministeriale e un’Unità governativa con la medesima funzione. Nel 1997 è stata introdotta la legge annuale di semplificazione, peraltro approvata soltanto 4 volte (nel 1999, nel 2000, nel 2003, nel 2005). E intanto un treno d’interventi viaggiava sui binari del decreto: per esempio il semplifica Italia, varato da Monti nel 2012».

Detto questo, manca dal decreto il reintegro nell’ordinamento di alcune leggi fondamentali che sono state cancellate da precedenti governi, su tutte quelle sul falso in bilancio e autoriciclaggio. Poco chiari gli indirizzi sulla pubblicabilità delle intercettazioni telefoniche e sui tempi di prescrizione (è mancato il coraggio di andare oltre la ex Cirielli).