È da poco trascorso il quinto anniversario dalla morte di Umberto Eco, tra i maggiori intellettuali del nostro tempo. Due libri ne celebrano l’approccio ai problemi filosofici, fondato su una continua ricerca del senso della ricerca. Ne scrive Gianfranco Marrone su Doppiozero.
Che cos’è la filosofia? Semplice: leggere e rileggere il Parmenide di Platone, non capirci granché, e rileggerlo ancora. In questo celeberrimo dialogo il grande filosofo greco enuncia nove ipotesi sull’essere, tutte diverse fra loro, tutte convincenti. Di modo che, dopo averne terminato la lettura, si entra in crisi profonda, superabile in un solo modo: ricominciare daccapo. Così, “non ho mai smesso di leggere quel testo e chiedo di leggerlo a tutti i miei studenti”. Perché? “Credo che non riuscire mai a capirlo completamente sia la più grande lezione di filosofia possibile. E non c’è bisogno di scoraggiarsi se non lo si comprende appieno. Bisogna continuare a leggerlo e più volte”.
Questa singolare definizione dell’attività filosofica è di Umberto Eco, e ben risponde al modo ben specifico in cui egli stesso, in più di sessant’anni di indefesso lavoro intellettuale, convintamente la praticava: non un’accigliata ricerca della verità ultima sull’uomo o sul mondo, ma una dubbiosa interrogazione circa il senso stesso di tale ricerca, un continuo arrabattarsi sui fondamenti del cosmo e sui principi della conoscenza, ben sapendo, con pervicace ironia, che tali fondamenti e tali principi saranno soggetti a inevitabili falsificazioni prossime future. Ridere con la verità, ma soprattutto ridere della verità, diceva frate Guglielmo in chiusura al Nome della rosa, impersonando esattamente, in quel frangente narrativo e con quelle frasi lapidarie, la figura del perfetto filosofo che, criceto felice nella ruota del pensiero, cerca un senso laddove c’è solo il suo simulacro. Uno scettico abbagliato dalla luce del vero.
Il multiforme ingegno di Umberto Eco, si sa, lo ha portato a esercitare lo spirito in molti modi. È stato semiologo e romanziere, massmediologo e opinionista, collezionista di libri ed enigmista, barzellettiere e docente universitario, editore e funzionario Rai. Ma, inglobando tutto ciò senza appiattirne le differenze, occorre ammettere che Eco è stato soprattutto un filosofo.
Un pensatore sui generis, senz’altro, capace di voli pindarici fra saperi e scritture, sempre pronto a generare cortocircuiti teorici, recuperando al contempo, con grande perizia filologica, la lunga tradizione dei classici del pensiero. Leggeva il Parmenide in continuazione, appunto, ma conosceva assai bene l’intera storia della filosofia (l’ha pure riraccontata in vignette satiriche), facendola interagire con i più recenti esiti delle scienze umane e sociali, della letteratura e delle arti, e con un occhio vigile a quel che andava accadendo nel mondo della comunicazione e della società che, rilanciandolo, ne discende.
Continua a leggere su Doppiozero
(Foto di thierry ehrmann su flickr)
Col sangue si fanno un sacco di cose
Le trasfusioni di sangue intero sono solo una piccola parte di ciò che si può fare con i globuli rossi, le piastrine, il plasma e gli altri emocomponenti. Ma tutto dipende dalla loro disponibilità, e c’è un solo modo per garantirla.