Il Parlamento italiano, noto per la sua efficienza, fluidità e rapidità, ha approvato mercoledì sera, dopo breve discussione, una legge che sblocca rimborsi elettorali (esatto, quelli aboliti dal governo di Enrico Letta, Pd) ai partiti per 45 milioni di euro. In sostanza, dopo che tre anni fa il Parlamento, con un presidente del Consiglio proveniente dallo stesso partito che governa ora, era riuscito a dare seguito (seppure con aggiustamenti e alleggerimenti) al voto popolare con cui gli elettori avevano deciso (nel 1993) l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, ecco che questo rientra dalla finestra.
Il problema è che il meccanismo pensato da Letta per gestire l’approvazione dei bilanci presentati dai singoli partiti non ha mai iniziato a funzionare. Una commissione di cinque giudici avrebbe dovuto verificare le scritture contabili presentate e decidere poi se il richiedente avesse diritto al rimborso delle spese (seppure ridotto rispetto al passato). La mole di lavoro si è dimostrata da subito enorme per il minuscolo team, che quindi si è dimesso. A niente è servita la proposta di assumere nuovi impiegati per integrare la squadra, l’esame dei bilanci non è mai avvenuto, quindi, di fatto, i rendiconti del 2013 e 2014 giacciono in qualche cassetto da mesi. Posto che nessuno li aprirà mai per verificarne la buona compilazione, la decisione del Parlamento è stata rapida e definitiva: sblocco immediato dei rimborsi dei due anni in questione, poi dal 2015 interverrà il meccanismo (ma funzionerà?) di certificazione, che dovrà avvenire entro 30 giorni dalla presentazione del bilancio. Larghissimo il consenso: 148 voti a favore, 44 contrari e 17 astenuti. Hanno votato a favore Pd, Fi, Cor, Ap; contro M5S e si è astenuta Sel.
C’è peraltro poca chiarezza in merito a cosa preveda il dispositivo approvato il 14 ottobre. Sergio Boccadutri, deputato Pd firmatario della legge, intervistato dal Corriere della sera (edizione cartacea di ieri), si sofferma sul meccanismo dei 30 giorni, valido dal 2015, sorvolando sul fatto che la legge preveda l’assegnazione automatica dei rimborsi del 2013 e 2014. «Sia chiaro – riporta il Corsera – è falso quello di cui ci accusano: se i bilanci non sono approvati dalla commissione, i soldi non si prendono». Ed è vero, ammette, «che è comprensibile l’obiezione del cittadino comune che vorrebbe altrettanta sollecitudine nel risolvere i suoi problemi quotidiani, ma qui non stiamo facendo nulla di male: stiamo solo permettendo ai partiti di pagare fornitori che aspettano dal 2013, di onorare prestiti e soprattutto pagare stipendi ai dipendenti che, in alcuni casi, non li prendono da mesi». Una dichiarazione che mira a strappare un po’ di umana compassione verso fornitori e dipendenti, ma che il “cittadino comune” non ha certo contribuito a innescare, anzi si trova costretto a subire l’ennesimo insulto della politica. Quanto descritto da Boccadutri avviene infatti in qualsiasi ambito di lavoro, ma la politica non si è mai dimostrata così solerte nel risolvere i gravi problemi che si aprono al di fuori di se stessa.
Ciò che Boccadutri tace lo si può leggere in un emendamento presentato dalla deputata Pd Teresa Piccione e approvato dall’Aula: «Le modalità per l’effettuazione della verifica di conformità previste dall’articolo 9, comma 5, primo periodo, della legge 6 luglio 2012, n. 96, si applicano con riferimento ai rendiconti dei partiti politici relativi agli esercizi successivi al 2014». Ecco trovata la formula, semplice e risolutiva, per spostare il problema in avanti: tutto quanto presentato fino al 2014 sarà rimborsato, poi dal 2015 si vedrà. È così che in Italia si sbloccano 45 milioni di euro per i partiti, con un emendamento di tre righe. Il tutto mentre numerose altre questioni (altrettanto e più urgenti) aspettano di trovare spazio nei lavori di Camera e Senato. Per chiudere, trovandoci davvero senza parole, ci affidiamo al commento pubblicato da Michele Serra sulla sua Amaca di ieri: «Cosa ci volete fare, il piatto piange. Non resta che complimentarci con gli autori dell’iniziativa, incoraggiandoli a perseverare. Siamo sicuri che con la fine del bicameralismo perfetto certe performance potranno essere perfino più rapide».
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