Da un po’ di tempo battiamo sul tasto della ripresa scolastica. Ci perdonerete l’insistenza, ma c’è motivo di essere piuttosto preoccupati. Mentre in Italia si cercano di contenere gli effetti del grande movimento di persone registrato nella stagione estiva, che sta determinando un aumento dei casi di coronavirus che desta qualche preoccupazione, siamo a pochi giorni dall’inizio di un anno scolastico più che mai pieno di incognite. Il Ministero dell’istruzione ha emesso dei protocolli per la ripresa, ma molte disposizioni sono piuttosto vaghe o discutibili, e diverse questioni restano in sospeso. Leggendo questa rassegna, che mette in fila tutti gli aspetti critici, fa impressione il numero di volte in cui compaiono espressioni come “devono ancora essere decise e comunicate dal ministero”, o di cose su cui la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha fatto “ipotesi”, “sta valutando”, “ha suggerito”, ecc. Forse vale la pena ricordare che, in quasi tutta Italia, le scuole riapriranno il 14 settembre, cioè tra poco più di due settimane, e che tutto ciò riguarderà circa 8,5 milioni di studenti e studentesse il cui diritto allo studio e alla salute devono essere rispettati e garantiti. Certo, come fa notare il Foglio in un articolo uscito il 26 agosto, non siamo i soli a dover fare i conti con incertezze e preoccupazioni: «In Francia, a sei giorni dalla riapertura delle scuole, l’associazione nazionale dei pediatri rimprovera ancora il governo per non aver deciso cosa fare con le mascherine per gli studenti. In Spagna, l’opposizione rimprovera il governo Sa?nchez per “aver lasciato che un’intera generazione di bambini venga trattenuta dall’istruzione a causa della mancanza di pianificazione”. In Germania, dove le scuole hanno riaperto in nove dei sedici la?nder del paese, nel giro di poche settimane sono stati chiusi piu? di cento istituti». Ciò non toglie che chiudere le scuole sia stato uno dei primi provvedimenti presi dal governo, ben prima che si arrivasse al lockdown generalizzato. Ci rendiamo conto della straordinarietà della situazione, ma il tempo per ragionare, a scuole chiuse, non è mancato dalle parti del Ministero.

L’occasione mancata della task force

Tra le tante task force istituite durante la pandemia, ce n’è anche una sulla scuola. E adesso Patrizio Bianchi, ex rettore dell’Universita? di Ferrara e ordinario di Economia che ha coordinato il team di esperti, denuncia quanto poco siano state tenute in considerazione le 150 pagine prodotte dal gruppo di lavoro. Come racconta Carmelo Caruso, sempre sul Foglio del 26 agosto, «Nel documento mancano riferimenti a mascherine, banchi con le ruote. Non e? una dimenticanza. “Il nostro mandato escludeva quella materia che riguarda i presi?di sanitari che sono di competenza del Cts (Comitato tecnico scientifico, ndr). Non mi impedisce tuttavia di parlarne e di dire cosa penso. In questo paese si e? assistito a una divisione quasi caricaturale su banchi e mascherine. Ci si e? concentrati interamente su questi aspetti. Abbiamo finito per dimenticare la necessita? di un’educazione alla salute, comportamenti corretti da tenere, direi indispensabili per scongiurare il contagio” confessa questo professore che “non vuole tornare alla scuola di ieri, perche? la scuola di ieri era quella che aveva percentuali altissime di dispersione scolastica. Differenze fra nord e sud che devono essere colmate”. E allora corsi accelerati di buoni comportamenti sanitari in questa estate difficile. È una semplificazione ma che sintetizza efficacemente alcuni passi del rapporto. È un fatto che sia mancata un’adeguata campagna social, comunicativa che avrebbe preparato studenti e docenti al rientro. La commissione Bianchi premeva su questo».

Il rischio di un lockdown di fatto

Come segnala ancora il quotidiano diretto da Claudio Cerasa, se non si uscirà dalla logica burocratica che domina le indicazioni redatte dal Ministero, si rischia una chiusura di fatto delle scuole. Per esempio, in caso di sospetta infezione da SARS-CoV-2 in uno studente (per cui è stata stilata una lista di sintomi molto ampia) : «Se risulta negativo, l’alunno resta comunque in quarantena fino alla ripetizione del test tre giorni dopo. Se risulta positivo, rientrerà a scuola solo quando due successivi tamponi daranno esito negativo, mentre studenti e insegnanti a contatto con lui nei due giorni precedenti resteranno in quarantena per due settimane. Ciò vale anche per i docenti che dovessero accusare uno solo di quei sintomi, con la differenza che un alunno sta in una sola classe, mentre un docente in tre, cinque, otto, chissà. Inoltre va messo in quarantena ogni docente o studente che conviva con qualsiasi individuo risultato positivo. Mettendo insieme queste casistiche nient’affatto remote, che si accavalleranno nel corso dell’anno scolastico, si otterra? un guazzabuglio di banchi vuoti, cattedre deserte, pile di certificati medici: un lockdown inconfessato». Alla fine, è il sospetto, il peso delle decisioni difficili ricadrà sui presidi, costretti a prendere decisioni caso per caso in una situazione nuova e straordinaria. Da un lato questo ha senso, visto che il Ministero non può prevedere l’estrema varietà di situazioni che si possono verificare nelle diverse scuole. Dall’altro però, dati i numerosi ritardi e inadempienze, e la vaghezza di molte disposizioni ministeriali, rischiano di crearsi contesti potenzialmente esplosivi.

(Foto di Kelly Sikkema su Unsplash)