Skip to main content

Per chi ha frequentato le scuole dell’obbligo negli anni ’80/’90 del secolo scorso, come chi scrive, uno dei dogmi imprescindibili delle lezioni di geografia era che l’inquinamento prodotto dai Paesi protagonisti dello sviluppo iniziato con la rivoluzione industriale stava minando la stabilità del clima mondiale. Già allora diversi studi dimostravano i danni prodotti da alcuni gas allo strato di ozono, e si parlava dell’effetto serra (e quindi riscaldamento globale) dovuto all’eccessivo rilascio di anidride carbonica. Tutto ciò si traduceva, ci spiegavano, in aumento del livello dei mari, scioglimento dei ghiacci perenni, aggravamento dei fenomeni atmosferici più devastanti come piogge, inondazioni, siccità. Eventi, questi ultimi, che si concentravano (e si concentrano) nei Paesi più poveri ed esclusi dallo sviluppo “globale”.

Un rapporto pubblicato il 27 settembre dall’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) -organo dell’Onu che rappresenta la voce più autorevole e affidabile in materia- conferma tutto questo, sulla base di studi e osservazioni condotti dai suoi scienziati. Nel rivedere alcune stime diffuse nel corso degli anni, il rapporto conferma che con altissima probabilità (parlare di certezza andrebbe contro l’approccio scientifico) il riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuto principalmente all’impatto delle attività dell’uomo sull’ambiente: «Nuove evidenze scientifiche rafforzano e confermano i dati sui cambiamenti climatici frutto di una vasta serie di osservazioni e modelli di nuova generazione. Con estrema probabilità la causa dominante del riscaldamento osservato fin dalla metà del XX secolo è costituita da attività umane».

Più avanti, nel documento, si fa riferimento a quanto dicevamo in apertura sulle conseguenze per gli eventi atmosferici del pianeta. Li riassume così il giornalista John Vidal, specializzato in questioni ambientali per il Guardian (traduzione nostra): «I Paesi a basso reddito resteranno in prima linea nei cambiamenti climatici indotti dall’uomo nel corso del prossimo secolo, registrando graduali innalzamenti del livello dei mari, cicloni più forti, giorni e notti più calde, piogge impreviste più frequenti, e ondate di calore più intense e durevoli». Il riscaldamento ambientale conseguenze dirette anche sulla sofferenza della fame nel mondo in quanto, secondo l’Oxfam, il clima influenza i raccolti e un mondo più caldo è un mondo più affamato. Addirittura, la confederazione di Oxford suggerisce che il numero di persone a rischio fame potrebbe aumentare tra il 10 e il 20 per cento nel 2050. Notizie, queste, che confermano quanto già si sapeva almeno dal 2006, quando l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore spiegò nel film An inconvenient truth la situazione climatica mondiale.

Eppure le politiche mondiali sul clima non hanno conosciuto impegni consistenti verso un cambio di direzione sull’emissione di sostanze nocive negli ultimi anni. L’argomento non ha guadagnato grande attenzione sui media internazionali ed è stato messo da parte dai governi più influenti in favore di altre questioni più urgenti. Il problema, fa notare lo psicologo Adam Corner sul New Scientist, non sta tanto nella diffusione dei dati scientifici, ma nell’efficacia della loro comunicazione. In generale, infatti, «un aumento della conoscenza tende a rafforzare le opinioni esistenti». Quindi, chi era scettico in merito alla dannosità dell’impatto dell’uomo sull’ambiente sarà portato a essere ancora più convinto della sua idea, mentre chi già si poneva il problema sarà spinto a insistere nella direzione opposta. Il fatto che generalmente la questione sia rifiutata da chi si colloca nell’area più conservatrice della politica è alimentata dal fatto che l’impegno sul clima è portato avanti più spesso dalla sinistra (Corner si riferisce al Regno Unito, ma in altri Paesi, compresa l’Italia, la questione non è molto diversa). Fare leva su valori compatibili con chi vota a destra (o centrodestra) -come preservare la bellezza dell’ambiente locale o perseguire la sicurezza energetica-, propone Corner, è la via per aumentare il grado di condivisione degli studi sull’ambiente, e quindi trovare politiche comuni.

Privacy Preference Center