Visto il periodo, è molto probabile che la maggior parte di coloro che stanno leggendo questo articolo abbia preso almeno un aereo nel corso degli ultimi due mesi. Di questi, è molto probabile che in molti abbiano preso almeno un volo Ryanair, attratti principalmente da una cosa: il prezzo. È infatti questo il dio al cui altare l’azienda di Michael O’Leary è disposta a sacrificare qualsiasi altra cosa. Ed è sul prezzo che si gioca la possibilità di Ryanair di indurre tutti noi ad accettare condizioni che altrimenti rifiuteremmo senza esitare. Voi che avete viaggiato su Ryanair avete dovuto subire il terrorismo per le dimensioni del bagaglio a mano, l’applicazione letterale delle norme sul peso, il continuo bazar di gadget, articoli da regalo, sigarette elettroniche e biglietti della lotteria che cadenzano i minuti del viaggio, qualunque sia la sua durata.
I disagi non si fermano ai passeggeri, perché sono note le denunce sulle condizioni di lavoro inaccettabili imposte ai dipendenti della compagnia: abbiamo detto che tutto si può sacrificare in favore del prezzo, quindi il resto è una conseguenza che non ci deve stupire. Peccato che questo sia proprio il criterio che ha animato il capitalismo più sfrenato generato dallo sviluppo industriale dei due secoli scorsi. Ci accaniamo sui vari articoli 18 e stabilizzazione dei precari, ma non ci rendiamo conto che ognuno di noi, occupando un posto su un velivolo Ryanair, alimenta un modello di sviluppo (e di successo) che sta obbligando anche le altre compagnie a scendere sullo stesso terreno, lottando per essere competitive sul prezzo. Che entro un certo limite è una ricaduta positiva della concorrenza, che avvantaggia il consumatore, ma quando diventa una gara a chi è più bravo a scarnificare il diritto a un rapporto di reciproca correttezza tra lavoratore e azienda allora i rischi diventano reali per tutto il settore, e non solo.
Ecco il rischio di cui parliamo, così come descritto in un articolo pubblicato sul giornale svedese Sydsvenskan (tradotto in italiano su Presseurop): «Ryanair non è una giovane società prodigio né una pecora nera e neppure un’eccezione che conferma la regola. Ryanair è, o sta per diventare, la regola: un’azienda che illustra in modo esemplare un enorme cambiamento di paradigma. Il modello sociale europeo nel quale si è espansa, nel quale il mercato del lavoro e la vita economica sono basati sulla concertazione, l’equilibrio dei poteri e la ripartizione della ricchezza, è in fase di arretramento. Il XX secolo è definitivamente alle spalle. Dovremo presto fare ritorno al XIX secolo, con il capitalismo selvaggio, il rifiuto del sindacalismo, il dumping salariale, lo sfruttamento dei lavoratori. E Ryanair sta facendo scuola».
L’autore dell’articolo sottolinea di non essere mai salito su un aereo Ryanair e di non averne intenzione. Molti obietteranno: molto bene, ma tu puoi permetterti questa scelta; al contrario, talvolta Ryanair rappresenta una soluzione obbligata per non dover rinunciare al viaggio. I voli low cost hanno rimpicciolito il mondo di chi non ha molti soldi da spendere per le vacanze. Nessuno di questi sarà disposto a rinunciare alla possibilità di visitare i luoghi più belli del mondo per restare coerente a un principio. Sarebbe bello, ma non è così. E infatti in questo caso andrebbero introdotti degli strumenti di controllo del mercato, per garantire i diritti del personale e quelli dei clienti. In ogni caso, questo fenomeno scatena importanti interrogativi, le cui risposte sono destinate a influenzare le nostre vite e il futuro del mondo del lavoro e le sue regole: «Perché gli intellettuali non parlano più spesso di questa faccenda? Perché il caso Ryanair non è oggetto di un dibattito approfondito? Perché la sinistra contemporanea si preoccupa così poco dell’economia e della violenza di alcuni rapporti di forza?».