Un sacchetto biodegradabile, dopo tre anni passati nell’ambiente, è ancora in grado di trasportare della spesa. Lo stesso vale (a maggior ragione) per i normali di plastica, mentre gli unici a mostrare segni di cedimento sotto il peso degli oggetti sono quelli compostabili. Lo ha rilevato una ricerca dell’università di Plymouth, che ha sottoposto diversi tipi di sacchetti a una permanenza di tre anni in varie condizioni ambientali, per poi testarne le condizioni.
Vanno comunque smaltiti
All’inizio del 2018 era nata una discreta polemica in Italia per l’entrata in vigore della legge che (finalmente) stabilisce l’obbligo per gli esercizi commerciali di usare solo sacchetti di questo tipo. Se non altro, la vicenda aveva contribuito a portare l’attenzione sul problema. Quando usiamo i sacchetti “biodegradabili”, spesso abbiamo la sensazione di usare un oggetto che non avrà impatto sull’ambiente. La realtà però è che i sacchetti, di qualunque materiale siano fatti, sono comunque un rifiuto che va gestito. Disperderli nell’ambiente, o comunque non sottoporli al ciclo di trattamento previsto per il tipo di materiale di cui sono fatti, li rende potenzialmente pericolosi e ne riduce (o annulla) le ricadute positive sull’ambiente.
Biodegradabile è diverso da compostabile
Il tipo di sacchetti testati dai ricercatori erano di cinque tipi, di cui due erano i cosiddetti “ossobiodegradabili”, uno biodegradabile, uno compostabile e uno ad alta densità di polietilene (i normali sacchetti di plastica). Ognuno di essi ha caratteristiche diverse e sistemi di smaltimento diversi, oltre a un differente impatto sull’ambiente. Secondo quanto si legge sul sito di una compagnia che commercializza prodotti biodegradabili e compostabili, «La biodegradabilità è la capacità di sostanze e materiali organici di essere degradati in sostanze più semplici mediante l’attività enzimatica di microorganismi. Se questo processo biologico è completo, si ha una totale conversione delle sostanze organiche di partenza in molecole inorganiche semplici quali acqua, anidride carbonica e metano». «La compostabilità è la capacità di una materiale organico di trasformarsi in compost mediante il processo di compostaggio. Tale processo sfrutta la biodegradabilità dei materiali organici di partenza per trasformarli in un prodotto finale che prende il nome di compost. Il compost è dunque il frutto della disintegrazione e biodegradazione aerobica (cioè in presenza di ossigeno) di materiale (in genere rifiuti) organico: il compost maturo assomiglia ad un terriccio fertile e per la sua ricchezza in sostanze organiche è impiegato come fertilizzante». Gli ossobiodegradabili sono invece sacchetti il cui utilizzo è piuttosto controverso (e l’Unione europea sta cercando di limitarne l’utilizzo). La loro caratteristica, si legge sulla testata inglese The Conversation, è che pur essendo di base fatti in plastica convenzionale, contengono degli additivi che permettono alla plastica di reagire all’ossigeno e quindi rompersi e degradarsi in tempi molto più rapidi. Il problema è che sacchetti di questo tipo potrebbero contribuire ad aggravare il problema delle microplastiche, considerate tra i fattori più critici per l’inquinamento dei mari e dell’ambiente in generale.
La via d’uscita è usare meno plastica
Comunque la si voglia vedere, il problema di fondo non è tanto trovare il materiale giusto per continuare ad avere le stesse abitudini. Questa ricerca ha il merito di ricordare che impianti di smaltimento adeguati sono centrali per massimizzare l’impatto positivo dei nuovi materiali. Resta comunque a monte il problema della produzione, visto che anche i processi industriali che portano alla realizzazione dei sacchetti hanno un peso sull’ambiente, per quanto diverso a seconda delle materie prime usate e dell’efficienza dei processi. Bisogna ridurre in qualche modo la quantità di plastica immessa complessivamente nell’ambiente, e non sembra che su questo si stiano facendo passi avanti significativi. Secondo uno studio del 2016, a questi ritmi entro il 2050 negli oceani ci sarà (in termini di peso) più plastica che pesci.