È stato presentato ieri in Senato un disegno di legge per la promozione della piena attuazione della legge 180 del 1978 (conosciuta come legge “Basaglia”). Il testo è il risultato della collaborazione di professionisti, associazioni e consulenti esperti della materia, e nasce dalla constatazione che le misure della 180 sono applicate ancora in maniera molto disuguale sul territorio italiano. Può sembrare paradossale che, a quasi quarant’anni dalla pubblicazione della legge che sancì il superamento della contenzione come misura principale per affrontare il disturbo mentale grave – allora all’avanguardia anche rispetto al resto d’Europa – si senta il bisogno di rafforzarne i meccanismi di applicazione. Si tratta però di un processo necessario dato che, a causa della diversità delle realtà locali che compongono il nostro sistema sanitario, coesistono nel nostro Paese situazioni virtuose e d’eccellenza con altre di assoluta arretratezza, dove la contenzione e l’applicazione del Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) sono ancora la regola.
Si vuole che chiunque, a prescindere da dove si trovi, possa avere accesso alle stesse forme di cura, riabilitazione, percorsi di emancipazione e programmi di ripresa a cui ha diritto. Secondo le esigenze specifiche del soggetto, in maniera omogenea in tutto il Paese. «L’obiettivo che ci si propone di perseguire è […] di rilanciare l’applicazione della legge n. 180 del 1978 – è scritto nella relazione che accompagna il Ddl –, rafforzarne i contenuti di assistenza effettiva e universale sul territorio nazionale, confermare la portata di definizioni e principi che non meritano di mutare ma, al contrario, di essere sviluppati ed estesi. Viene pertanto garantita l’effettività del diritto alla salute, il quale, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità non è – conviene ricordarlo sin da questa relazione illustrativa – “assenza di malattia”, ma si definisce come stato “psicofisico di benessere”». Sul sito del Forum salute mentale si leggono ulteriori precisazioni in merito alle motivazioni che hanno portato all’elaborazione del disegno di legge: «Derivano dalla considerazione delle gravi criticità in cui versano i servizi di salute mentale in tutto il territorio nazionale a causa dell’insufficiente applicazione dei principi e degli orientamenti fissati dalla Legge 180 (che vanno in tutto e per tutto salvaguardati e promossi), dalla non più trascurabile riduzione delle risorse, la fragilità dei centri di salute mentale, da insensati accorpamenti in macroaree dei servizi territoriali, alla assoluta incertezza delle risposte ai bisogni di cura e di crescita delle persone. Ci motiva l’inerzia del governo centrale, la disattenzione delle regioni alle numerose linee d’indirizzo, elaborate dal ministero della salute. Non ultimo, il giudizio di non sufficiente adeguatezza di testi in materia giacenti da tempo alla Camera rafforza la nostra motivazione».
Nella relazione che accompagna il disegno di legge si trovano poi approfondimenti su quale sia la base culturale su cui poggia l’impianto del testo, che è poi quella che si è sviluppata con l’esperienza di Trieste negli anni ’60 e ’70 (ne avevamo scritto qui): «Parliamo qui non più, come spesso si finisce per lasciare intendere, del vecchio internato, del grigiore di immagini, risalenti agli anni sessanta e settanta, che pure siamo riusciti a lasciarci alle spalle. Stiamo pensando, e non senza una tormentata partecipazione, alle ragazze e ai ragazzi, ai giovani adulti che per la prima volta si trovano a vivere l’esperienza del disturbo mentale severo. Un’esperienza, questa, di per sé drammaticissima, che rischia di subire l’impatto con interventi inadeguati, spesso violenti e disabilitanti con la conseguenza di costringere il/la giovane e la sua famiglia a entrare in un labirinto senza vie d’uscita. Possibilità di accoglienza “gentile”, di “buona” cura, di prospettive “ottimistiche” e di ripresa più efficaci sono realizzabili ovunque, ma è con estrema disomogeneità che vengono praticate. Nella maggior parte delle regioni il rischio di “cattive” pratiche resta ancora molto elevato».
L’imminente conclusione della legislatura probabilmente non giocherà a favore dell’approvazione di questo disegno di legge in tempi brevi. Ma per i promotori non sembra essere un problema, anzi, si tratta di un’opportunità per ampliare e compattare la mobilitazione: «Pensiamo che possa essere un bene: abbiamo bisogno di ritrovarci, di ri-conoscerci, di tessere reti più fitte, di stringere alleanze, di entusiasmare tanti compagni di lavoro che sono sfiduciati e scettici. Bisogna, malgrado tutto, riscoprire il coraggio e la passione civile che hanno accompagnato il difficile cammino del cambiamento».
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