di Federico Caruso

Leggere dichiarazioni quali «Il servizio civile non è morto» lascia tutt’altro che sereni. Ricorda le rassicurazioni dei presidenti di squadre di calcio all’indomani di una sconfitta della loro squadra: «L’allenatore non è in discussione». Puntualmente, dopo un altro paio di settimane, lo sventurato in questione si ritrova senza panchina (e in genere lautamente risarcito in termini economici, ma questa è un’altra storia).

A pronunciare la frase è stato il portavoce del Ministero per la cooperazione e l’integrazione, Giovanni Grasso, al salone del volontariato italiano “Villaggio Solidale”. A motivarla l’annuncio, avvenuto pochi giorni prima, che per il servizio civile 2013 non ci sono soldi. Allo stato attuale, se il ministro Andrea Riccardi non troverà nuovi fondi, l’anno prossimo non sarà finanziato alcun progetto di servizio civile. Dopo la chiusura dell’Agenzia per il terzo settore, si tratta di un altro brutto segnale per il mondo del volontariato.

Potremmo trovare infinite testimonianze del valore di questo istituto, sui giornali, nei blog, tra i siti delle associazioni. Ma anche chi scrive ha qualcosa da dire in merito. Il mio ingresso in Avis risale al 2002, quando diventai donatore. La mia tessera riporta l’autografo della “prof” Cristina Rossi, anche se purtroppo non ho mai avuto il piacere di conoscerla. Due anni dopo, in un periodo “sabbatico” post-laurea, decisi che era il momento di fare qualcosa di più attivo nel mondo del volontariato, e quindi feci richiesta per entrare all’Avis di Legnano come obiettore di coscienza. Già, sono della “vecchia guardia”, uno degli ultimi esemplari pre-riforma. Quasi superfluo dire che l’esperienza fu molto positiva: da allora il mio rapporto con l’associazione non si è mai interrotto. Ha preso strade diverse, si è fatto più stretto o più saltuario nel corso degli anni, a seconda di dove hanno portato le scelte mie e dell’associazione.

E oggi sono qui, a occuparmi di questo blog, ultima creatura nata da una sezione che non ha mai avuto paura di osare nelle scelte comunicative. Quei dieci mesi (allora funzionava così) furono un momento determinante della mia vita. Cambiarono la mia forma mentis, il mio modo di approcciarmi agli impegni e al lavoro. Ma anche allo studio, ai rapporti con le persone. Mi hanno insegnato il rapporto con la gente, la responsabilità di portare con me un messaggio di solidarietà quando mi muovevo per l’associazione, nelle fiere o nelle scuole. Ma anche in incontri pubblici e in radio, insomma ovunque mi sia stato chiesto di rappresentare l’Avis.

Ho imparato cosa vuol dire essere al servizio di qualcosa di più alto, di universale, come il dono. Non so come sarebbe proseguita la mia vita se non avessi fatto questa scelta, ma so che mi ha cambiato. E mentre io diventavo adulto, questo andava a favore anche di altre persone. Non saprei dire quante persone ho intercettato e provato a sensibilizzare verso la donazione di sangue nel corso di quei mesi. Ho imparato ad accettare i “no” col sorriso, e a incoraggiare i “forse” per sbloccare le ultime reticenze. Non è una competenza generica, non me la sono mai sentita di utilizzare la “tecnica” acquisita in altri ambiti. Era il messaggio a muovermi, non l’obiettivo o la competizione. Dopo di me molti altri ragazzi hanno fatto esperienze simili, e finalmente anche donne, con l’istituzione del servizio civile volontario. Ognuno ne ha ricavato qualcosa che si porterà dietro per sempre. Ma di sicuro il servizio civile restituisce al Paese cittadini più consapevoli del proprio appartenere a una comunità, e dei diritti e doveri che questo implica. Un patrimonio fondamentale per costruire l’Italia di domani. Ecco perché bisogna assolutamente trovare i fondi per il servizio civile 2013.