«Non sapremo mai con esattezza quante persone ha ucciso la pandemia di COVID-19: sono troppi i decessi che non vengono ancora registrati nel mondo». A scriverlo in apertura è un editoriale pubblicato alcuni giorni fa su Nature. L’articolo prova comunque a fare delle stime, mettendo insieme diversi calcoli fatti da diversi soggetti, e nel prendere atto delle difficoltà spiega quali sono le lezioni da trarre da questa vicenda.

Le statistiche, spiega Nature, indicano che nel 2021 il COVID-19 ha superato le malattie cardiovascolari, diventando la principale causa di morte nel mondo. Questa conclusione non emerge dai dati ufficiali sulla pandemia, ma dalle stime elaborate sulla base dell’eccesso di mortalità.

I dati pubblicati da Nature, ottenuti in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), suggeriscono che tra il 2020 e il 2021 l’eccesso di mortalità sia stato circa 2,7 volte superiore al bilancio ufficiale, tra i 13,2 e i 16,6 milioni di decessi, con il valore più probabile di 14,8 milioni. È un dato conservativo rispetto ad altre stime.

Per il solo 2021, l’Oms stima un eccesso di mortalità tra i 9 e i 12 milioni; nel 2019, ultimo anno per il quale sono disponibili le stime, i decessi per malattie cardiovascolari sarebbero stati circa 8,9 milioni. Questi extra-decessi includono anche quelli legati indirettamente alla pandemia, ad esempio per malattie che i sistemi sanitari avrebbero potuto trattare se non fosse stato per le interruzioni dei servizi dovute al COVID-19.

Anche rispetto alle morti in eccesso, si tratta comunque di stime: molti Paesi non raccolgono o non pubblicano dati puntuali sulla mortalità, spiega Nature, quindi le cifre devono essere estrapolate da fonti locali o da sondaggi, oppure stimate considerando ciò che si sa sull’intensità della pandemia in questi Paesi.

Fatte tutte queste premesse, qual è dunque il valore delle stime dei decessi in eccesso? In primo luogo, sostiene Nature, i problemi sollevati sottolineano la portata della crisi ed evidenziano come molti Paesi a basso e medio reddito, che in apparenza hanno registrato pochi decessi, siano stati probabilmente colpiti con la stessa intensità dei Paesi più ricchi, se non maggiore. Le persone in questi Paesi non hanno quindi goduto di un’immunità speciale al COVID-19, anche se hanno fatto registrare meno decessi.

In secondo luogo, il fenomeno sottolinea quanto ci sia ancora da fare per migliorare i sistemi di registrazione dei decessi. Il miglioramento dei processi di registrazione è fondamentale per migliorare la salute pubblica, sottolinea Nature.

Una migliore e più coerente rendicontazione sarebbe un primo passo per appianare le discrepanze tra le stime e limitare la tendenza dei Paesi a scegliere le metriche che più si adattano alla narrazione che vogliono fare della pandemia. I confronti tra Paesi rimarranno difficili, rendendo arduo stabilire quali politiche siano state più o meno efficaci nel limitare i decessi, o quanto il virus sia stato letale in gruppi diversi. Per appianare le discrepanze saranno necessari colloqui aperti tra i ricercatori. Nessuna di queste difficoltà dovrebbe però attenuare il tentativo di stimare l’impatto di questa pandemia ancora in corso, non solo sulle persone decedute, ma anche sulla salute dei sopravvissuti.

(Foto di Martin Sanchez su Unsplash)

Questo articolo è solo un pezzetto

Scrivere ci piace, ma l’attività principale di Avis Legnano è la sensibilizzazione alla donazione di sangue. Per partecipare a questo progetto basta compilare il modulo d’iscrizione.

Lo trovi qui