Tra il 1978 e il 1982 l’Italia e il resto del mondo furono scossi da alcuni avvenimenti che nessuno avrebbe mai potuto prevedere. L’estinzione dello Stato italiano, l’arresto di Ugo Tognazzi, individuato come capo delle Brigate rosse, l’arrivo dei marziani sulla terra, la distruzione di Montecitorio per l’esplosione di una caldaia. La storia non vi torna? Male! Nel senso che trovate tutto lì, nel Male, il periodico satirico che nel suo quinquennio di vita ha pubblicato i falsi appena elencati. Da oggi fino al 2 ottobre a Ferrara, nell’ambito degli eventi collaterali al festival di Internazionale, è possibile rivedere alcune delle prime pagine di quella fortunata stagione alla mostra “Il Male non è morto”, allestita al Pac-Padiglione di arte contemporanea, presso Palazzo Massari. Oltre venti le tavole originali esposte, per ripercorrere la storia di un’esperienza editoriale mai più ripetuta nel nostro Paese.

Nato in un periodo storico cruciale per la nostra storia recente, quello della cortina di ferro, degli anni di piombo e del rapimento Moro, il Male ha riunito tutte le penne (e le matite) più brillanti di quel momento per dare vita a un prodotto che aveva il chiaro intento di sparare a zero su tutti, senza schierarsi con nessuno, se non con sé stessi. «Niente meditazione, nessuna linea editoriale da rispettare o codici a cui attenersi, equilibri da mantenere. Niente di tutto questo, tutto il contrario, piuttosto: spazio all’improvvisazione, mirare all’accumulo, riempire le pagine all’inverosimile, spararla grossa, sempre. E non risparmiarsi mai». Così la ricorda Vincino, disegnatore, tra i fondatori assieme a Pino Zac (uscito dopo pochi numeri), Sergio Saviane, Jacopo Fo, Riccardo Mannelli e Vauro Senesi. Molti altri si sarebbero aggiunti nel corso degli anni, tra cui Andrea Pazienza, Vincenzo Sparagna e Tanino Liberatore. L’idea dei falsi arriva dopo pochi mesi, con l’intento di destabilizzare, di annunciare ciò che tutti, più o meno tacitamente, vorrebbero leggere prima o poi sui giornali. «Era solo trovando un’idea che rispecchiasse un desiderio generale che il falso poteva dirsi riuscito. Se non si creava questa magia, questo scambio di stimoli fra noi e i lettori, non si poteva sperare che qualcuno ci cascasse», scrive ancora Vincino sul volume “Il Male” (Rizzoli). E alcuni falsi erano talmente verosimili che poi, a distanza di anni, si sono avverati. Come la caduta del muro di Berlino, annunciata in pompa magna nel giugno del 1980, quasi un decennio prima. E poi la confessione dell’allora sindaco di Palermo Vito Ciancimino, “fatto pentire” dalle pagine di un finto Giornale di Sicilia nel 1979. Quasi profetico l’annuncio, visto che nel 1984 Ciancimino fu arrestato dopo le confessioni del pentito (vero) Tommaso Buscetta. «Avevamo capito quale sarebbe stato il meccanismo con cui la mafia avrebbe preso una botta solenne -prosegue Vincino-, cioè quello del pentitismo».

Sarebbe interessante chiedersi cosa pubblicherebbe oggi una testata del genere. A sfogliare certi titoli dei giornali degli ultimi anni, si percepisce qualcosa di surreale: potrebbero essere degli autentici falsi. È come se la satira si fosse spostata dai luoghi a essa dedicati alle colonne della stampa generalista. Un cambiamento lento, graduale, per cui di anno in anno abbiamo alzato l’asticella che segna il limite di ciò che siamo disposti a mandare giù. Verrebbe da dire che un giornale come il Male non sia più necessario, oggi. Così non devono pensarla i suoi fondatori, visto che per il 7 ottobre è stata annunciata, a quasi trent’anni dall’ultimo numero, l’uscita di una nuova edizione del Male. Aspettiamo di vedere se Vincino, Vauro e la loro nuova squadra saranno capaci di smentirci, e di mantenere la ferocia di un tempo.