L’estate scorsa, un gruppo di sindaci lanciò una raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che introducesse l’insegnamento dell’educazione alla cittadinanza nelle scuole. In realtà la materia è già prevista, solo che nel corso delle varie riforme ha cambiato più volte nome (attualmente si chiama cittadinanza e costituzione). Il problema, però, non è tanto inserire un’ora alla settimana per studiare come funzionano le istituzioni repubblicane, bensì interrogarsi su come educare gli studenti a vivere con rispetto, partecipazione e spirito critico in un contesto democratico.

In che modo educare alla cittadinanza

Franco Lorenzoni, maestro elementare e scrittore, ha fatto notare su Gli Asini Rivista che un approccio tradizionale alla questione non aiuterà a formare dei cittadini più critici e consapevoli. Condensare le attività in un’ora settimanale, magari prevedendo anche l’assegnazione di un voto a fine anno, non aiuterà ragazzi e ragazze a interiorizzare ciò che significa vivere all’interno di una comunità conoscendone le regole (anche per essere in grado di contestarle). Un conto è conoscere gli organi dello Stato e il loro funzionamento. Altra cosa è maturare una capacità di muoversi all’interno delle relazioni che informano una società complessa.

Assaporare la fatica della democrazia

Lorenzoni usa il concetto di fatica della democrazia per riferirsi all’impegno che implica il fatto di sviluppare un’attitudine all’ascolto e alla mediazione, con l’idea di vedersi non come la somma di interessi individuali, ma come collettività. «Gert Biesta afferma che “la sfida e il valore della democrazia stanno nel fatto che ciascuno porta sul tavolo i propri desideri e poi si decide collettivamente quali desideri possono essere realizzati perché sono “collettivamente desiderabili”», ricorda Lorenzoni. L’analfabetismo, di cui spesso si parla e che la scuola è chiamata a evitare e contrastare, non riguarda solo l’ignoranza sui contenuti delle diverse discipline. Si tratta anche di sviluppare e rafforzare un’attitudine più generale, cercando di andare contro la tendenza alla chiusura che spesso arriva anche da genitori smarriti e in difficoltà. «L’analfabetismo che allarmava Ada Gobetti più di mezzo secolo fa non riguardava tanto la preparazione culturale, quanto l’incapacità di uscire da se stessi, che è base imprescindibile per costruire un confronto positivo con gli altri e dunque accogliere il fatto che possano esserci punti di vista diversi dal nostro. Senza questa consapevolezza non è possibile fondare e neppure concepire alcuna pratica democratica».

Pratiche e competenze trasversali

L’abitudine a suddividere il sapere in discipline separate tra loro, aspetto già problematico di per sé, a maggior ragione va combattuta su una questione tanto aperta e trasversale quanto l’educazione alla cittadinanza. Si tratta di un compito di cui è chiamata a farsi carico tutta la struttura scolastica, come già avviene in alcuni istituti per volontà del dirigente. «Perché sorgano percorsi di ricerca in grado di coinvolgere gli allievi a partire da domande legittime complesse, di cui nessuno possiede risposte esaustive bell’e pronte, c’è bisogno del concorso di tutte le discipline e di avere il coraggio di sostare a lungo intorno a questioni chiave, scegliendo di fare meno cose e ammettendo la nostra ignoranza. Abbiamo infatti bisogno di letteratura, matematica e storia, di arte, geografia, fisica, chimica e filosofia per capire qualcosa di più della dinamica complessa dei rapporti interumani e del peso di scelte che alterano in modo irreversibile gli equilibri precari del nostro pianeta». Ben vengano quindi le iniziative che chiedono una maggiore attenzione verso quella che un tempo si chiamava educazione civica. Ma non sarà un’ora settimanale, introdotta e imposta come una qualsiasi altra attività curricolare, a dare la spinta decisiva verso un cambiamento culturale profondo, sottile e stratificato.

(Foto di NeONBRAND su Unsplash)