Le lezioni online sono un’esperienza nuova per molti studenti, ma soprattutto per molti insegnanti. La vicedirettrice di Doppiozero Anna Stefi ha raccontato la sua esperienza, proponendo alcune riflessioni. Riportiamo un estratto del suo articolo.

Insegno.

Il lavoro, quando può, se può, continua. In qualche modo.

Le lezioni sono online. Si moltiplicano le piattaforme. Su Argo è necessario controllare l’uscita di nuove circolari, tutorial per classroom, per google meet, tutorial pure per avviare la mail istituzionale. E poi ogni consiglio di classe una mail. Provare a organizzarci, un file excel per scandire le lezioni on line.

«Ragazzi magari iniziamo con Skype, che dite? E forse sarebbe meglio che facessimo una chat whatsapp, così vi comunico i codici di accesso per il materiale di classroom in modo piuttosto veloce».

Sono giorni, insomma, di iperconnessione, dove alcuni argini non tengono più: «Vi mando un vocale altrimenti non riesco a tenere più il ritmo delle comunicazioni».

La cattedra: mi viene da ridere, a pensarci.

Altro che cattedra: qui vedono la mia foto profilo whatsapp. E io entro nelle loro stanze da letto, tra i loro poster. Vedo i mobili, intuisco il resto della casa. Mi commuove, la loro vita. Guardarli appena svegli, seduti a un tavolo che non è il banco e con un volto che non riesco più ad associare in maniera così non mediata al loro posto sull’elenco del registro.

– Lezione finita, mi dite come state?

– Bene prof. Cioè, è strano.

E tutto questo avviene mentre in un tondo skype Silvia si accende una sigaretta – e mica posso dirle “hey, è vietato”, al più le dico “Ma santocielo! sono le dieci del mattino” – e in un altro tondo skype Carlotta inizia a mettersi lo smalto sulle unghie.

Abbiamo tutti del tempo in più. E stiamo lì. Ora mi scrivono che vorrebbero fare delle lezioni per parlare di cose generali: «Prof., vuole?». Anche io faccio gli aperitivi in Skype con le amiche, la sera, mi stanno domandando qualcosa di molto simile – okay, forse non mi aprirò una birra davanti a loro – e io credo che in questo momento il mio lavoro possa essere anche questo. Non lo so. Tutti lavoriamo in un’incertezza e tutti ci muoviamo con modalità diverse. Non ce n’è una migliore dell’altra, sono tentativi: si tratta di cogliere l’inatteso.

C’è anche un aspetto, in più.

Non tutto “funziona”: intanto non siamo certi che tutti avranno un dispositivo, una connessione adeguata. Ma non è solo questo: è proprio che anche nel dispiegarsi della lezione un attimo siamo in video, poi qualcuno scompare, la conversazione si fa singhiozzo, tizio entra, tizio esce, tizio riesce di nuovo. Cosa ci sta dicendo tutto questo? Se vogliamo passare solo delle informazioni ci sono dei mezzi probabilmente migliori, più efficaci. E, dunque, l’insegnamento non è un passaggio di informazioni. Ma non è nemmeno un fatto di competenze, non è della trita immagine della testa ben fatta e non solo ben piena che qui si parla.

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(Photo by Tirza van Dijk on Unsplash)