scuolaLa Corte di Cassazione ha deciso che le due scuole paritarie cattoliche del comune di Livorno dovranno pagare l’Ici arretrata per il periodo che va dal 2004 al 2009. È una sentenza molto rilevante ai fini della giurisprudenza perché, pur non essendo vincolante per i futuri orientamenti dei tribunali, è la prima sulla materia. Dal 1992 al 2014 il governo italiano ha stabilito l’esenzione dell’Ici per gli edifici «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive». Nella definizione rientrano anche molti edifici di proprietà della Chiesa cattolica, tra cui le scuole paritarie. Vi era stato un decreto interpretativo nel 2006 per chiarire che l’esenzione riguardava edifici che «non abbiano esclusivamente natura commerciale».

Con la sentenza di qualche giorno fa, la Corte stabilisce sostanzialmente che le scuole paritarie di Livorno (e quindi potenzialmente molte altre sparse in Italia) sono soggetti di natura commerciale, perché agli studenti viene erogato un servizio in cambio di una retta. Nessun trattamento di favore dev’essere concesso quindi a questo tipo di strutture, dato che esse assolvono sì a un servizio di importante valore per la società (l’istruzione), ma operando come privati devono sottostare alle norme previste per tali soggetti. Nella fattispecie, si tratterà ora per le due scuole di pagare circa 224mila euro, che comprendono le tasse non versate e le ammende per il tempo trascorso. Le scuole paritarie presenti sul territorio italiano sono poco meno di 14mila, di cui il 63 per cento cattoliche. Ovvie la preoccupazione e lo sconcerto per le autorità della Cei (Conferenza episcopale italiana), che vede nella sentenza il possibile trampolino di lancio per altri ricorsi da parte dei vari Comuni italiani che ospitano gli istituti sul proprio territorio. «Il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, interpellato dall’Ansa, invita chi è chiamato ad adottare decisioni a “essere meno ideologico” e avverte: “non ci si rende conto del servizio che svolgono gli istituti pubblici paritari”».

Il quotidiano locale Il Tirreno propone una visione del tutto laica della sentenza, paragonando le scuole paritarie ad altre attività commerciali (come i negozi di quartiere che, per quanto molto utili al territorio su cui insistono (evitando per esempio agli anziani di fare lunghi spostamenti per raggiungere i supermercati), non si sognerebbero mai di chiedere favori ed esenzioni: «Se voi come negoziante, improvvisamente, diceste al sindaco: “Beh, visto che io in questo quartiere sono un punto di riferimento, non ti pago più l’Imu, altrimenti mi tocca chiudere. Voglio l’esenzione”. Il sindaco, anche se animato dalla migliore disposizione d’animo, risponderebbe: “Mi spiace, ma l’Imu la devi pagare. Sei un commerciante, vendi i tuoi prodotti, e non esiste che tu non paghi allo Stato quanto dovuto. Se non ce la fai, chiudi”». È la dura realtà.

Tra l’altro, scrive ancora l’Ansa, l’Italia è sotto osservazione per questo tipo di istituti per «sospetti aiuti di Stato agli enti della Chiesa». E probabilmente l’indagine non si fermerà dopo la sentenza della Cassazione visto che, al di là di tutti gli altri casi simili e potenzialmente replicabili presenti in Italia, la materia è stata ulteriormente regolata dal governo guidato da Matteo Renzi nel luglio 2014, facendo in modo che praticamente nessun istituto paritario cattolico sia tenuto a pagare le imposte che hanno sostituito l’Ici (Imu-Tasi). Come spiegava allora L’Espresso, «Per le scuole si assegna un parametro di retta annuale al di sotto del quale l’istituto non versa nulla. Funziona così: per la scuola dell’infanzia il tetto simbolico è di 5.739 euro, per la primaria 6.634 euro, istruzione secondaria di primo grado 6.836 euro, istruzione secondaria di secondo grado 6.914 euro. Tutti gli istituti che hanno rette inferiori o uguali a queste non pagano né Imu né Tasi». Un ottimo stratagemma del governo per decidere di non decidere, dando però l’impressione, ancora una volta, di aver fatto ciò che nessuno mai prima aveva osato.