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Nelle scorse settimane ci siamo tutti mobilitati per manifestare la nostra solidarietà al periodico satirico parigino Charlie Hebdo, la cui redazione ha subito un sanguinoso attentato. La libertà di espressione è una conquista ottenuta al prezzo di difficili battaglie per i diritti dei cittadini. Diversi Paesi europei hanno vissuto periodi segnati dal totalitarismo, dall’impossibilità per i cittadini di esprimere liberamente le proprie opinioni, se non volevano finire in carcere o al confino. Oggi fortunatamente questa fase si è conclusa, e ognuno è libero di pubblicare ciò che crede, rispettando ovviamente le leggi che tutelano la reputazione delle persone, delle istituzioni e delle minoranze. Il tema è molto complesso. In un momento come questo, dopo i fatti di Parigi, la maggior parte di noi è propensa a difendere la libertà di espressione come un diritto non negoziabile. Quindi tutti a schierarsi (noi compresi) non tanto con Charlie Hebdo in sé (del quale non abbiamo mai inteso sposare la linea editoriale, ovviamente), quanto con il diritto della redazione di Charlie a pubblicare ciò che vuole, senza auto limitarsi o auto censurarsi.

Non dobbiamo però dimenticare che ci sono molti problemi legati alla libertà di espressione, intesa in senso lato, anche nel “nostro” mondo. Prima di crearci nella testa due schieramenti contrapposti, con da una parte il bene (l’“Occidente”) e dall’altra il male (il terrorismo islamista), dovremmo guardare alla complessità della nostra società. Dove, per esempio, il fatto di dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale può dare luogo a pesanti discriminazioni, su più campi. Quello lavorativo, per esempio. È di pochi giorni fa il pronunciamento della Corte d’appello di Brescia, che ha confermato la sentenza del giudice del lavoro di Bergamo, che imponeva all’avvocato Carlo Taormina di risarcire 10mila euro a un’associazione che tutela i diritti dei gay per le sue sue parole pronunciate durante la trasmissione La zanzara in onda su Radio24: «Se la tenga lei l’omosessualità – ha detto Taormina – io non ne ho alcune né in simpatia né in antipatia, non me ne frega niente, l’importante è che non mi stiano intorno (…). Mi danno fastidio. (…) Parlano diversamente, si vestono diversamente, si muovono diversamente, è una cosa assolutamente… eh… assolutamente insopportabile, guardi. È contro natura». Fin qui si tratta di opinione personale, certo, ma poi l’avvocato ha specificato che non assumerebbe mai nel suo studio un omosessuale. Incalzato dal conduttore della trasmissione («Cioè non ho capito, lei lo chiede, se fa un colloquio chiede: “Ma lei è frocio?”»), ha tenuto a specificare: «No, lo capisco da solo. Non c’è bisogno». Il giudice in entrambi i gradi di giudizio ha ravvisato gli estremi per una discriminazione. La legge per fortuna tutela da questo tipo di comportamenti, che però continuano a esserci (esercitati in questo caso da uno che le leggi dovrebbe conoscerle bene invece di “fregarsene”).

Un altro caso è finito sui giornali nei giorni scorsi, quello di un ragazzo che si è visto ritirare la patente perché omosessuale. «Mi fanno questa visita e salta fuori che io sono omosessuale e che la Motorizzazione è stata informata dalla Marina Militare – ha spiegato il protagonista della vicenda Danilo Giuffrida –. Poi mi danno questo documento che dev’essere rinnovato ogni anno, come a vedere se io guarisco o peggioro, che ne so. È quando ho visto quello che mi sono infuriato». Sembra un racconto preso direttamente dalla Russia di Vladimir Putin, e invece è l’Italia (quella del 1982 in questo caso). Insomma, bene difendere la libertà di espressione contro la violenza e il fanatismo, ma non dimentichiamoci di lottare e scendere in piazza quando ci sono da fare rispettare anche i diritti che pensiamo di avere acquisito. Le cronache ci insegnano che ogni attimo è buono perché siano calpestati.