In Italia, complice la crisi, tutto si giustifica se «porta lavoro». C’è da cementificare enormi superfici verdi per costruire palazzine e centri commerciali? Va fatto, perché porta lavoro. È il caso di costruire nuove arterie per la viabilità che aumentino esponenzialmente il traffico in grado di transitare in una determinata area? Certo che sì: porta lavoro. Siamo sicuri che sia vantaggioso il rapporto costi-benefici portati dal fatto di ospitare una grande manifestazione? Intanto accettiamo, perché porta lavoro, poi agli aspetti problematici si penserà con calma. Via di questo passo, le domande potrebbero continuare molto a lungo, ma la risposta, sempre la stessa, azzera ogni possibilità di critica. Per esempio, pensiamo al territorio che circonda la nostra sezione. A brevissima distanza dalla nostra sede, a Rescaldina, si accinge a essere costruito un enorme centro Ikea: «315 mila metri quadrati (scrive Legnano24.it), di cui un terzo saranno aree verdi e il resto da distribuire tra area vendita, 74mila metri quadrati, e parcheggi». Secondo Ikea i posti di lavoro che verrebbero a crearsi «sarebbero all’incirca 2200, di cui 1800 di impiegati e 400 derivanti dall’indotto».

C’è da gestire l’impatto ambientale di un’operazione del genere. Siamo in una delle zone più problematiche del Paese dal punto di vista ambientale, le nostre strade devono già sopportare una mole di traffico che non di rado mette in allarme gli indici di inquinamento e quindi i rischi per la salute. Stiamo parlando di un territorio che ha dovuto già sobbarcarsi nel giro di pochi anni l’impatto del multisala di Cerro Maggiore e il complesso commerciale Auchan. A questi andrebbe ad aggiungersi un ulteriore enorme blocco commerciale, il cui marchio attrae folle di acquirenti. Peraltro Ikea ha già due sedi piuttosto vicine, quelle di Carugate e Corsico. Non ce ne voglia l’azienda svedese, ma forse non è di così vitale importanza spostare ulteriore traffico anche sulla nostra area. Magari stiamo cadendo nella sindrome di Nimby (not in my backyard, espressione che identifica una presa di posizione che suona come «fate pure, ma non nel mio giardino»), ma faremmo le stesse valutazioni se fossimo a conoscenza di situazioni analoghe in altri territori (potremmo nominare, per esempio, l’affaire Expo 2015).

Bisognerebbe poi capire secondo quale logica, su un terreno che già ha sacrificato molta campagna alle ragioni del commercio, sia il caso di costruire un altro tempio del mercato. Non si poteva sfruttare diversamente? «In passato l’area era un bosco, poi si è pensato al polo tecnologico e ora l’Ikea. Non capisco il nesso e lo vorrei comprendere», ha detto Angelo Mocchetti di Rescaldina Insieme. Il problema di fondo è questa inarrestabile spinta alla costruzione che pervade l’Italia. Il mercato immobiliare è tornato ai livelli di scambi del 1985, ma il cemento continua a colare sulle nostre campagne, perché «porta lavoro». Dovremmo ricordarci di altri dati e pensare a un nuovo modello di sviluppo delle nostre città. «Ogni giorno -secondo la Coldirettiviene sottratta terra agricola per un equivalente di circa 400 campi da calcio (288 ettari) con il risultato che in Italia oltre 5 milioni di cittadini si trovano in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni, che riguardano ben il 9,8 per cento dell’intero territorio nazionale». Stiamo inseguendo un modello di sviluppo sbagliato, e dovremmo pensare, oltre che ai posti di lavoro (che per la maggior parte saranno poi stagionali, di basso profilo, quindi non in grado di creare punti di riferimento per giovani in cerca di un verso percorso professionale), all’“indotto” che avrà sulla nostra salute questa dinamica apparentemente inarrestabile.