Fare cultura, nel nostro Paese, pare sempre più difficile. Dovrebbe essere l’occupazione principale di molti di noi, viste le potenzialità del territorio italiano. Eppure, quando si parla di tagli, la cultura è sempre in cima alla lista. E ciò che preoccupa di più è la ricaduta che avrà sulle generazioni future l’attuale clima che spinge i giovani ad allontanarsene. Tanto da perdere (o meglio, non sviluppare) una sensibilità fondamentale, non solo verso l’arte e le manifestazioni dell’ingegno, ma verso il mondo in generale.
Vogliamo citare un fatto avvenuto poco tempo fa. Il 22 febbraio, alle cinque del mattino, capita che quattro ragazzi di Jesolo montino su un’auto, si dirigano a Venezia e, con una brillante manovra degna dei cugini Duke nella contea di Hazzard, attraversino il Ponte della Costituzione di Calatrava. Potrà sembrare un’immagine divertente, un gesto irriverente e leggero. Non la pensiamo così (per la cronaca, il conducente è stato denunciato per guida in stato di ebbrezza). Episodi del genere non sono rilevanti solo in sé, ma soprattutto in quanto sintomo di un malanno più grave, e cioè il progressivo allontanamento generalizzato dai concetti di bellezza, di cosa pubblica, di spazio condiviso. Un problema di educazione civica, direttamente collegato alla vita scolastica dei nostri studenti. La famiglia, l’ambiente culturale in cui una persona nasce e cresce è importante, ma a scuola si forma il pensiero critico dell’individuo. Anche perché, fino ai sedici anni, è il posto in cui ognuno ha il diritto/dovere di stare per molte ore al giorno. La scuola è un laboratorio dove si dovrebbe formare la coscienza del cittadino. I nostri scolari sono i più fortunati del mondo, perché vivono in un Paese che è un museo a cielo aperto. L’Italia è costellata di città d’arte e abbiamo un ente come il Fai (Fondo ambiente italiano) che promuove le realtà artistiche e paesaggistiche locali, favorendo il recupero e la valorizzazione di un patrimonio preziosissimo. E allora, nonostante i tagli alla scuola pubblica, nonostante il malcontento degli insegnanti che vedono la propria professione sempre meno riconosciuta, come sarebbe bello tornare a vedere tante scolaresche in giro per le città. Ci sono in giro tanti bravi insegnanti, ai quali è dato il compito di creare classi motivate. Vanno pagati il giusto, questo sì. E un’allocazione dei costi è possibile, se alla base c’è un progetto culturale solido, che volga lo sguardo al futuro.
Abbiamo messo molta carne al fuoco in questo post, sul piatto ci sono molte questioni da approfondire. Mentre ci riflettiamo su, aspettiamo i vostri commenti, le vostre testimonianze. Rendeteci partecipi delle vostre storie.
Vorrei raccontare una cosa che mi è successa oggi e che mi ha molto colpito. Ho contatto una persona di origine irakena e mi hanno comnicato che era rientrato a Bagdad perchè forse il padre era deceduto. In quel momento davanti alla mente mi sono tornate le immagine che avevo visto la sera precedente al telegiornale e le ho sentite vicine, per la prima volta le ho sentite mie. Spesso quando si osservano le notizie che i network ci propongono le sentiamo lontane, come se non ci appartenessero e, sono sincera, spesso penso “no a me non può succedere” e poi basta poco, una telefonata per esempio e tutto cambia. Quelle immagini senza profondità diventano tue e ti rimangono impresse, la loro sofferenza diventa la tua, alla fine è solo fortuna in che parte del mondo nasci, non lo scegli e da quello spesso dipende tutta la tua vita. Allora pensi che noi siamo fortunati, che quella guerra rimane solo una loro guerra e un loro problema, anche se stanno lottando per la libertà, quella stessa libertà che da noi manca e in cui loro ancora credono. Ci impoveriscono ogni giorno di più, dai programmi senza spessore in televisione, a cose più gravi come i tagli alla cultura e noi diventiamo spettatori della nostra vita, accettiamo di buon grado tutto, tanto non ci manca nulla quindi perchè mettersi in gioco e rischiare e per cosa poi?
Quando avranno finito di impoverirci e ci avranno reso un popolo vuoto, allora saremo veramente controllabili e ci diranno cosa pensare. Certo non credo nelle guerre, ma non credo nemmeno che il silenzio possa essere utile, bisogna trovare il coraggio di reagire, perchè questa è la nostra terra e dovremmo essere orgogliosi di essere italiani.
Cara Cristina,
il tuo intervento è davvero toccante. E la chiosa lo è particolarmente perché cade nei giorni in cui si festeggia il 150esimo anniversario dell’unità nazionale. Il nostro Paese può rinascere proprio dal sentimento di appartenenza, non a un’entità statale astratta, ma a un popolo fatto di persone che vogliono costruire qualcosa di buono assieme.
Domani sarà online una lettera che ci è arrivata qualche giorno fa da un ospedale molto lontano, almeno geograficamente. Si tratta, finalmente, di una buona notizia, e ci auguriamo possa aiutare tutte le persone sensibili come te, come noi, a continuare a credere in un mondo migliore.