Come spiegavamo la settimana scorsa, il coronavirus mette a rischio i servizi destinati alle persone fragili, in particolare disabili e senza dimora. A proposito di questi ultimi, la fio.PSD (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora) ha fatto un sondaggio tra i suoi soci, per capire quali ripercussioni ha avuto la diffusione del virus sulle loro attività di assistenza e sulle persone che vi si appoggiano. Si tratta di una fetta di popolazione (stimata in circa 55mila persone) particolarmente vulnerabile, che quotidianamente affronta una vita piena di difficoltà. Quella dei senza dimora è un’emergenza continua (e per questo quindi forse bisognerebbe smettere di chiamarla emergenza e riconoscere che si tratta di un problema strutturale dell’Italia e dell’Europa), a cui si somma un’emergenza virale del tutto inedita, verso cui arriviamo poco preparati. Ecco perché «La fio.PSD lancia un allarme e un appello alle istituzioni competenti per prevedere dei protocolli di intervento e misure preventive soprattutto per i servizi bassa soglia. Un dispiegamento di forze professionali (unità mobili socio-sanitarie) in strada e presso i servizi per applicare misure preventive di screening, per evitare contagi e diffusioni del virus che in condizioni di estrema vulnerabilità potrebbero essere ancora più rapidi e aggravanti».
Le modifiche ai servizi
Tra le misure che si sono dovute adottare, spiegano dalle associazioni, «Il paradosso maggiore è che sono stati interrotti alcuni servizi igienici quali docce e distribuzione di indumenti, sono stati anche chiusi alcuni servizi di lavaggio vestiti e gli ambulatori. Più della metà delle realtà ha dovuto modificare i servizi facendo accedere alla mensa poche persone per volta, fornendo pasti da asporto, spesso pasti non caldi, da mangiare fuori dalle strutture. Alcuni dormitori sono ora aperti 24h per invogliare gli ospiti a non andare per strada, è stata fornita una maggiore informazione su igiene e sicurezza ed è stato ampliato e rafforzato il servizio delle Unità di Strada». L’impatto si è avuto anche dal punto di vista della partecipazione dei volontari all’erogazione dei servizi: «Per il 45 per cento di coloro che hanno riposto i volontari sono diminuiti e solo per il 5 per cento sono aumentati». Anche a livello logistico è stato necessario fare acquisti e rivedere le routine organizzative: «Sono stati acquistati contenitori monouso a norma per la somministrazione di alimenti caldi, messo a punto la logistica di distribuzione dei sacchetti e formato i volontari. Avviate modalità di home working per chi vive in zona rossa e non può spostarsi da casa».
Lo stato d’animo delle persone senza dimora
Per una persona che si sente quotidianamente esclusa da alcuni ambiti della società, affrontare questo stato di cose diventa ancora più pesante: «Si sentono ulteriormente esclusi ed emarginati – hanno scritto gli operatori – aumenta in loro la paura specialmente di coloro che presentano anche problematiche psichiatriche, aumenta inoltre la diffidenza». Questo ha avuto un impatto anche a livello organizzativo, visto che è stato necessario erogare i servizi andando al contempo incontro a una situazione psicologica più difficile del solito: «In tempi strettissimi è stato necessario riorganizzare a volte completamente i servizi, cercando di contenere al massimo le frustrazioni e le paure degli operatori e degli ospiti. È stato fatto un grande lavoro di mediazione per spiegare la situazione agli ospiti. Sono state redatte indicazioni scritte per volontari, ospiti e operatori».
(Foto di Matheus Ferrero su Unsplash)