Foto di Anpas Nazionale

Alcune riflessioni sul servizio civile in Italia: quali opportunità può aprire per il futuro, in che modo potrebbe essere migliorato, come potrebbe mettere i nostri giovani più in contatto col resto d’Europa. Questo e altro in un articolo di Simone Cosimi che riprendiamo da Wired.

Anzitutto, c’è da capire se un’operazione non succhierà quattrini all’altra. Tradotto: se il nuovo progetto di rilancio del servizio civile per gli under 30 non sottrarrà risorse al piano Garanzia Giovani, del quale pure potrebbe diventare un tassello. In seconda battuta, ci sarà – come sempre, nessuna novità – da scovarli, quei soldi: fra i 400 e i 600 milioni di euro l’anno. Forse un po’ meno, tagliando il periodo (otto mesi prorogabili di altri quattro anziché 12), chiedendo un piccolo aiuto agli enti che organizzano i progetti e rinunciando magari al 10 per cento di Irpef sul rimborso spese. Al momento, nelle tasche dei volontari entrano 433 euro netti ogni 30 giorni.

Bisogna però tirare un respiro e andare oltre le solite storie delle risorse, come i politici amano chiamare i soldi per esorcizzarne il diabolico richiamo a cui spesso si piegano. Visto che il servizio civile universale sarebbe (condizionale d’obbligo, dovrebbe entrare in un ddl il prossimo 27 giugno) una mossa importante, anche per lo stato dell’innovazione in Italia. E non solo.

Primo. È in generale uno scatto di reni. Certo, quei due milioni di neet, ragazzi che non studiano, non lavorano, non fanno niente e si ubriacano del peggio che la società ha da offrire loro, bisognerà andarli a buttare giù dal letto. Tuttavia, cominciare a togliere qualche scusante per rimanerci («Tanto non c’è nulla in giro») è già un passo avanti. Piccolo, certo. Ma in coppia con la Youth Guarantee potrebbe produrre qualche effetto sulla disoccupazione e inattività giovanile ma soprattutto raccontare che, hey, lì fuori c’è un mondo che ti aspetta.

Secondo. Si apre la strada verso quello che dovrebbe essere il vero obiettivo: il servizio civile europeo. L’abbiamo fatto con licei e università, circuito ben più burocratizzato e complicato, perché dovrebbe essere così assurdo pensare a un Erasmus del volontariato? Che poi, in fondo, nella pratica già esiste grazie a centinaia di associazioni che ogni estate spalmano giovani europei in mezzo continente. Anche in questo caso, sarebbe significativo se Bruxelles si facesse carico di alimentare il caracollante futuro dell’Europa partendo da un tipo di attività che, in teoria, dovrebbe custodirne alcuni dei principi fondativi: solidarietà, pace, lavoro.

Terzo. L’aspetto forse più importante, almeno nel nostro Paese. Facciamo in modo che almeno una parte di questi 100mila giovani diventi anche un esercito dell’innovazione. Che costituisca un passaggio di testimone con chi è fuori dal perimetro della nuova conoscenza e però ha molto da raccontare in termini di tradizione, fondamenta, fortezza d’animo. Un plotone di innovatori destinato, più che ad abbattere il digital divide generazionale, a costruire un sodalizio fra gruppi sociali che si guardano in cagnesco, parlano lingue diverse e hanno smarrito un progetto comune. Per poi lanciarsi oltre confine.

Per farlo, il servizio civile universale dovrà mettere in piedi una foltissima squadra di aggiustatori, che contaminino l’ormai sdrucito Stivale dando non solo il proprio contributo nella vecchia e disastrata socialità – a proposito: occhio a distribuire soldi agli enti certificati che hanno in serbo qualcosa di serio, non ai professionisti della formazione regionale – ma anche in quella nuova. Quella della conoscenza, dell’innovazione, della sostenibilità, del web. Sembra poco, sarebbe una mezza svolta.