Il servizio sanitario nazionale, con tutti i suoi pregi e difetti, esiste da circa 40 anni. A livello di principio, l’universalità del diritto all’assistenza medica avviene con l’entrata in vigore della Costituzione italiana, nel 1948. Nello stesso anno, il concetto è ribadito da altri due documenti ufficiali: la Costituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità e la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite. L’Italia sceglie dunque un modello che si rifà a quello britannico, il cosiddetto modello Beveridge, che prevede che la salute sia un diritto universale e che lo Stato si faccia carico di garantire l’accesso della popolazione alle cure. Siamo abituati a fare il confronto con gli Stati Uniti, dove la sanità è finanziata dalle assicurazioni private stipulate dai cittadini, ma sono molti altri i Paesi europei ad adottare invece il cosiddetto “modello Bismarck”, fondato sulle assicurazioni sociali obbligatorie e risalente al 1883.
Come fa notare la giornalista Silvia Bencivelli sul Tascabile, dopo l’entrata in vigore della Costituzione italiana il percorso che ha portato all’istituzione del servizio sanitario nazionale ha conosciuto altre tre tappe fondamentali, a distanza di dieci anni una dall’altra. Una è l’istituzione del Ministero della salute, nel 1958. La successiva è la riforma ospedaliera del 1968. «Gli ospedali diventano gli ospedali come li conosciamo oggi – scrive Bencivelli –: non più enti caritatevoli dove si va a morire, a farsi accogliere se si è poveri o dove si abbandonano i neonati (insomma niente di quello che ci verrebbe in mente di fare oggi in un ospedale). Ma enti pubblici: centri nodali del sistema di cura del paese. Da adesso gli ospedali pubblici forniscono assistenza gratuita a chiunque ne abbia bisogno».
Infine, la pietra fondamentale verso la modernità è costituita dall’approvazione della legge 883 del 1978, che istituisce il servizio sanitario nazionale. La riforma entrerà in vigore nel 1980, ma si tratta di una legge quadro, che necessita di ulteriori interventi normativi per essere integrata e diventare del tutto operativa.
Qualcuno, soprattutto se nato dopo quegli anni, si chiederà come funzionasse nei decenni precedenti. C’erano le mutue, cioè le società di mutuo soccorso. Si trattava di associazioni di lavoratori che versavano una quota e ottenevano in cambio assistenza sanitaria. Era un sistema iniquo perché legato al tipo di lavoro svolto: i lavoratori più qualificati appartenevano a casse più ricche e ottenevano coperture migliori. Un meccanismo che in qualche modo ricorda nel funzionamento quello delle assicurazioni private.
Si potrebbe pensare che un sistema universalistico costituisca una spesa eccessiva per lo Stato. Invece le cifre dicono che tutto sommato in Italia la spesa per cittadino è piuttosto contenuta rispetto ad altri Paesi europei o agli Usa, eppure la qualità del servizio è mediamente buona. «Secondo il rapporto Health at a Glance Europe 2018 dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) – scrive il Post –, in media in Italia si spendono ogni anno 2.251 euro a persona per l’SSN, contro i 3.045 del Regno Unito, i 3.572 della Francia e i 4.160 della Germania. Rispetto alla media di tutti i paesi, la spesa pro capite annuale italiana, del settore pubblico, è minore di quasi 400 euro. Si spende meno anche a parità di potere d’acquisto e il confronto con gli Stati Uniti, dove come si sa il sistema sanitario non è universale, è a favore dell’Italia: negli Stati Uniti la spesa annuale pro-capite è superiore agli 8mila euro – comprese anche le assicurazioni private – e nonostante questo l’aspettativa di vita alla nascita è più bassa sia per gli uomini che per le donne».
Ovviamente il sistema italiano non è esente da difetti e problemi, anche gravi e spesso denunciati. Uno di questi è la non uniformità dei livelli di assistenza lungo il territorio. Tra l’altro, la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 ha regionalizzato molte delle competenze in ambito sanitario, rendendo di fatto l’Italia un sistema “federale”, in cui ogni regione ha un suo sistema sanitario. Resta il fatto che chiunque può scegliere dove curarsi, a prescindere dalla residenza, ma non è infrequente che chi abita in certe regioni del Sud decida di spostarsi in Regioni più attrezzate. Un altro grave problema è che in Italia presto mancheranno i medici di base.