Settembre è il mese dell’Alzheimer e ieri, 21 settembre, ricorreva la Giornata mondiale dedicata a questa malattia. Varie iniziative si sono svolte in tutta Italia, ma è stata soprattutto l’occasione per capire a che punto siamo sull’assistenza alle persone colpite dal morbo. Le voci che arrivano dalle associazioni sono piuttosto critiche verso le politiche adottate in questo senso dai governi degli ultimi anni, denunciando il fatto che lo sforzo economico per l’assistenza ricade quasi completamente sulle famiglie dei malati. «Nonostante il Piano nazionale demenze del 2014 – ha scritto su Corriere Sociale la presidente di Infine Onlus, Marina Sozzi –, nessun miglioramento è riscontrabile per chi è colpito da malattia di Alzheimer oggi in Italia, come era prevedibile data l’assenza di investimenti statali, e in un contesto in cui molte regioni italiane affrontavano un piano di rientro. La ricerca del Censis del 2016 evidenzia infatti la gravità delle carenze del sistema socio-sanitario. Le demenze, come è noto, sono un problema complesso: questo dato, invece di stimolare le amministrazioni a una virtuosa collaborazione, ha spesso determinato conflitti di responsabilità, col risultato di bloccare le iniziative sia a livello regionale (sanità) che comunale (politiche sociali). […] Negli ultimi anni gli aiuti e i servizi pubblici disponibili sono diminuiti anziché aumentare, e l’assistenza è a carico delle famiglie, in termini di lavoro e di spesa, con enormi difficoltà per i caregiver, che hanno in media 60 anni e che invecchiano con i malati che curano».
Ieri è stato presentato il Rapporto mondiale Alzheimer 2016, intitolato “Migliorare l’assistenza sanitaria ai soggetti con demenza” (qui in formato pdf). Il documento, redatto dai ricercatori del King’s College London e dalla London School of Economics and Political Science, approfondisce lo stato di diffusione della malattia nel mondo e suggerisce gli indirizzi da prendere in futuro per affrontarne il decorso e garantire ai malati una buona qualità di vita. «La demenza colpisce 47 milioni di persone in tutto il mondo – riporta Gabriella Meroni su Vita –, destinate a triplicarsi entro il 2050. Attualmente, solo circa metà dei malati nei Paesi ad alto reddito e uno su dieci nei Paesi a medio e basso reddito hanno ricevuto una diagnosi. Il maggiore coinvolgimento di personale non specializzato nell’assistenza di base può liberare le capacità di soddisfare la crescente domanda di assistenza, e ridurne il costo individuale fino al 40 per cento. Una maggiore copertura dei servizi di assistenza sanitaria completa è economicamente possibile, avendo un costo pari circa allo 0,5 per cento della spesa sanitaria totale nel 2030. Occorre tuttavia una volontà politica per mettere in atto i cambiamenti necessari».
Il cambiamento deve riguardare non solo la spesa, ma anche il tipo di approccio verso la malattia, come fa notare Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia: «In Italia si stima che attualmente le persone con demenza siano 1.241.000. Per tutte loro è giunto il momento di cambiare la cultura dell’assistenza, ovvero di cambiare il modo di prendersi cura di loro mettendo al primo posto qualità di vita e dignità della persona stessa». Un pensiero ripreso anche da Sozzi nel suo intervento: «Neppure dal punto di vista culturale si è fatto molto e, a dispetto del moltiplicarsi dei Caffè Alzheimer e dei convegni, lo stigma resta forte. Ancora carente la cooperazione del pubblico col Terzo Settore: le associazioni che si occupano di Alzheimer faticano a trovare una stabile collaborazione con le istituzioni e sono spesso costrette a spendere denaro in comunicazione per raggiungere direttamente i loro utenti».
L’occasione della Giornata mondiale è un’opportunità anche per conoscere qualcosa in più sull’interessante storia di colui che ha dato il proprio nome al morbo, Alois Alzheimer. Un bell’articolo di Marco Belpoliti, uscito tempo fa sul blog Doppiozero.com, ne ripercorre la vicenda. L’importanza della scoperta di Alzheimer ha una rilevanza anche per la psichiatria in generale, che in quegli anni non era ancora riconosciuta al pari delle altre discipline mediche: «Alzheimer ha dimostrato come si possano affiancare quadri patologici e quadri anatomici: la psichiatria può essere finalmente considerata degna degli altri ambiti della medicina. L’intervento tuttavia cade nel vuoto. Il congresso è impegnato dalla discussione delle tesi di Freud. Si dibatte di patologie sessuali e masturbazione». Il medico tedesco morirà a soli 51 anni a causa di un’infezione, nel 1915. Il valore dei suoi studi troverà pieno riconoscimento solo negli anni Sessanta.
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