«Non mi sentivo molto utile in questo momento». Questa la laconica spiegazione dell’ex commissario alla spending review, Roberto Perotti, alle sue dimissioni avvenute sabato scorso. Prima di lui avevano lasciato lo stesso incarico Carlo Cottarelli (2014), Enrico Bondi (2013) e Piero Giarda (sottosegretario con questa delega nel governo di Mario Monti, 2012). È il quarto tecnico in pochi anni a gettare la spugna di fronte all’inconcludenza della politica italiana in materia di revisione della spesa. Con tutte le relazioni lasciate da ogni incaricato, c’è probabilmente abbastanza materiale per costituire un vero e proprio manuale a uso della politica. Il problema è che quest’ultima da un lato si mostra interessata a collaborare con i “professori”, dall’altro, nel momento in cui c’è da decidere se tagliare e dove farlo, rimanda sempre gli interventi, in favore di altre priorità, oppure sostituisce interventi progressivi e strutturali con tagli lineari. È andata così anche stavolta.

Le voci di possibili dimissioni per Perotti circolavano sui giornali da circa un mese. Prove di un certo attrito tra lui e il governo erano emerse già il 15 ottobre quando, nella conferenza stampa di presentazione della legge di Stabilità, il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva dichiarato: «C’e’ stata un discussione aperta sulle tax expenditures al termine della quale abbiamo scelto con dispiacere di non intervenire. Spero che Roberto continui a lavorare con noi». La politica italiana non si rassegna a fare i conti con la realtà, continuerà anche l’anno prossimo a vivere al di sopra delle proprie possibilità, trascinando e nascondendo i problemi invece di risolverli.

Come ricorda Beniamino Piccone sul Sole 24 Ore, già Carlo Cottarelli aveva spiegato come stanno le cose nel rapporto tra spesa e debito. Bisognerebbe solo prendere atto delle sue indicazioni: «Con un debito pubblico pari al 135 per cento del Pil – spiega Piccone – dire che la nostra sanità costa pro-capite meno della Germania, e quindi non va tagliata, è una “boiata pazzesca” (Fantozzi, cit.). Secondo Cottarelli, la spesa pubblica italiana eccede quello che ci possiamo permettere di almeno un 2 e mezzo per cento del Pil, ovvero circa 40 miliardi». La grande contraddizione della messa in un angolo dell’ennesimo commissario è che proprio Matteo Renzi, nei suoi interventi dopo la nomina a presidente del Consiglio, ha fomentato aspettative in merito alla revisione della spesa. Allora sparò cifre piuttosto azzardate: 20 miliardi di risparmio all’anno. Se tutto va bene se ne risparmieranno quattro, che su una spesa pubblica di circa 700 miliardi sono una percentuale infinitesimale (discorso analogo a quello fatto ieri sui livelli di disoccupazione in Italia).

Sul magazine Strade, Giordano Masini prova a tracciare un insegnamento da questo ulteriore fallimento nella collaborazione tra politica e “tecnici”: «Se c’è una lezione da trarre da questa strage è che l’abbattimento della spesa pubblica deve essere una chiara scelta politica e programmatica che precede l’individuazione delle voci da tagliare, non che la segue. In mancanza di tutto questo, nominare nuovi commissari alla spending review rischia di essere solo una perdita di tempo che potrebbe essere tranquillamente evitata. Se poi quella scelta, come auspichiamo, verrà fatta davvero, anche in quel caso non potrà ancora essere nascosta, pena la sua inefficacia, dietro il valore accademico di un tecnico, ma sostenuta da governo e maggioranza attraverso gli uomini del governo e della maggioranza».

A questo punto speriamo solo che il teatrino non si ripeta con la nomina di un altro illustre nome dell’economia, da presentare alla stampa e al mondo con grandi riverenze, per poi tenerlo costantemente “in panchina”. Nel frattempo, vi consigliamo di consultare le numerose pubblicazioni di Perotti per la testata online Lavoce.info, nelle quali ha spesso smascherato finti tagli della spesa, annunciati e mai operati, alla Camera, nonché i compensi esagerati che lo Stato riconosce a certe cariche, come ambasciatori e dirigenti pubblici. «Nessun governo può chiedere sacrifici ai propri cittadini se prima non dimostra di saper dare una spallata ai privilegi più assurdi – ha detto Perotti secondo quanto riporta Piccone –. È una semplicissima questione di credibilità».

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