La sperimentazione animale è un tema controverso, che periodicamente suscita grandi dibattiti. C’è chi la trova una pratica disumana e chi, più moderatamente, la trova un metodo al momento insostituibile per la ricerca (e quindi per migliorare la salute dell’uomo, ma anche degli animali). La bioeticista Chiara Lalli ne scrive su il Tascabile, con argomentazioni articolate. Pubblichiamo di seguito un estratto dell’articolo.

Perché è così difficile parlare degli animali? Una delle ragioni potrebbe essere la nostra tendenza a conferire caratteristiche umane a cani, gatti, canarini – lo facciamo perfino con gli oggetti inanimati, figuriamoci con gli animali domestici. E così, nei titoli dei giornali, il cane “piange” sulla tomba del padrone e il canguro “si dispera” per la morte della cangura. A volte ci si mettono le ossessioni di alcuni padroni che vestono i propri cani come personaggi di Walt Disney. Il cane di casa, cui “manca solo la parola”, è sempre più spesso trattato come un figlio. Si festeggiano i compleanni e si preparano torte di compleanno. Non possono mancare i social network: Dogalize consiglia i migliori ristoranti per cani, BePuppy ti invita «a condividere la vita del tuo migliore amico a quattro zampe».

La discussione è complessa ma alcune domande possiamo porcele. Stiamo davvero facendo il bene degli animali trattandoli come umani? La scorsa primavera un piccolo di bisonte è stato “salvato” da due umani a passeggio nel parco di Yellowstone che temevano soffrisse fame e freddo. Il bisonte è stato sottoposto a eutanasia dai biologi del parco dopo diversi tentativi di riunirlo al gregge, falliti proprio a causa del contatto con esseri umani. Una storia finita male, come molte altre storie simili. C’è l’aragosta Larry o l’ippopotamo Aisha, lo struzzo “liberato” dal Kaiser Circus o gli animali nati e vissuti negli stabulari che mal si adattano alla vita fuori da quell’ambiente protetto.

Un caso politico

Pochi giorni fa, Vittoria Brambilla si è presentata con Sogno in parlamento. «Si chiama, non per caso, Sogno. È un meticcio, maschio, di 6 anni ed è il primo cane, in Italia e forse in Europa, a entrare nella sala conferenze di un Parlamento. L’on. Michela Vittoria Brambilla, ex ministro di Forza Italia e presidente della Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente, si è presentata questa mattina alla Camera dei Deputati con il simpatico quattrozampe, quale testimonial di una battaglia politica, anzi, una battaglia di civiltà. Quella – spiega la deputata – per mettere in Costituzione la tutela dell’ambiente, la difesa degli animali e il rispetto dei loro diritti».

Nel manifesto del movimento La coscienza degli animali fondato da Brambilla si afferma tra le altre cose che va «vietata la vivisezione», definita «priva di reale validità scientifica».

Una parentesi prima di proseguire. Perché alcuni, soprattutto i critici, usano il termine “vivisezione” e non sperimentazione animale? È un termine impreciso, che mira a suscitare reazioni immediate di disgusto e condanna. La ricerca e la sperimentazione animale non si riducono infatti alla dissezione in vivo (la “vivisezione”, o meglio la chirurgia), ma comprendono ricerche comportamentali o di altra natura. Inoltre è verosimile immaginare che chi richiede la fine o il divieto della sperimentazione animale, non intenda solo le ricerche che prevedono interventi chirurgici, ma la vita negli stabulari, gli allevamenti e tutte le ricerche che coinvolgono animali. Quanto alle ricerche che prevedono la chirurgia, descritte come le più invasive e dolorose, bisogna ricordare che non si eseguono senza anestesia – e quindi potrebbero esserci indagini più dolorose, come l’inoculazione di alcune malattie. Un altro aspetto quasi sempre trascurato è poi che la ricerca ha scopi anche animalisti; il veterinario che cura i nostri cani sa cosa fare anche grazie all’uso di modelli animali.

Tornando al manifesto di Brambilla e alla richiesta di vietare la “vivisezione”, un altro fatto che ha sorpreso molti è che il secondo promotore fosse Umberto Veronesi. La ricerca oncologica si fa usando modelli animali – che è il modo “corretto” per dire “vivisezione”. Sorprendente sembra anche la richiesta di proporre una legge secondo cui chiunque “allevi, esporti, importi, sfrutti economicamente o detenga, trasporti, ceda o riceva a qualunque titolo conigli al fine della macellazione, o commercializzi le loro carni” rischi da quattro mesi a due anni di carcere e una multa da 1.000 a 5.000 euro per ogni animale. Anche per chi possiede un coniglio come animale domestico ci sono obblighi e sanzioni: il coniglio dovrebbe essere iscritto all’anagrafe, avere un microchip e andrebbe sistemato in una casa costruita secondo alcuni standard stabiliti dalla legge. Ma le premesse per simili richieste sono affidabili? Il coniglio viene descritto come il terzo animale domestico in Italia. Sono stime corrette? Non esiste un’anagrafe, ma non dovrebbe essere la diffusione o la nostra familiarità con un certo organismo a determinarne una maggiore o minore protezione.

Alcuni animali sono più uguali degli altri

Uno degli aspetti più importanti del nostro rapporto con gli animali è l’uso dei modelli animali nella ricerca. Sterminiamo i ratti che infestano le nostre città, ma ci commuoviamo davanti alle cavie. Immaginiamo il nostro cane o gatto sul tavolo di un laboratorio e simpatizziamo con chi “libera” gli animali, condannandoli magari a morte o a una vita non migliore una volta in libertà. Critichiamo l’uso degli animali destinati alla ricerca ma non rileviamo alcun problema morale nell’uso dei cani a scopo di difesa o di compagnia.

L’uso dei modelli animali nella ricerca è forse quello oggetto di condanne più feroci – considerando anche l’enorme disparità numerica, per esempio, rispetto al numero di animali usati a scopo alimentare. Ogni volta che parliamo di ricerca e sperimentazione animale dovremmo prima di tutto chiarire una questione “tecnica”, cioè a cosa è servito usare gli animali non umani e a cosa serve ancora oggi. Si tende a confondere, più o meno intenzionalmente, il piano scientifico con quello morale. E così per rinforzare l’argomento morale «è ingiusto usare gli animali per fini sperimentali» si sostiene che farlo sia inutile. E come potrebbe essere morale qualcosa che è inutile e che al contempo provoca sofferenza a esseri senzienti? Che costa soldi e risorse?

Ma cosa succederebbe se smettessimo di usare i modelli animali?

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Fonte foto: Wikimedia Commons