Molti esperti ipotizzano che il SARS-CoV-2, responsabile del COVID-19, diventerà “endemico” sul lungo periodo. Ossia continuerà a circolare tra la popolazione mondiale per molto tempo, seppure mutando nel frattempo in qualcosa di molto meno insidioso di adesso: una malattia stagionale al pari di raffreddore e influenza. Tale parere, emerso fin dai primi mesi della pandemia, è stato confermato anche di recente, come riporta Valigia Blu. Il 90 per cento di un campione di scienziati specializzati in questo settore sentiti da Nature ha infatti ribadito questa posizione, e uno di loro ha sottolineato che «In questo momento credere di poter eradicare il nuovo coronavirus dal pianeta è quasi come pensare di pianificare la costruzione di un sentiero fino alla Luna. Non è realistico».
Ecco perché molti scienziati sostengono che il modo migliore per prevenire la prossima pandemia sia sviluppare un vaccino in grado di proteggere l’organismo da tutti i virus che sfruttano lo stesso sistema del SARS-CoV-2 per replicarsi, cioè la famiglia dei coronavirus. «Lo sviluppo di vaccini altamente efficaci contro il COVID-19 in meno di un anno rappresenta un enorme successo – hanno scritto Dennis Burton ed Eric Topol su Nature –. Questo è stato possibile, in parte, grazie ad alcune peculiarità del SARS-CoV-2 che ne hanno facilitato la realizzazione, in particolare la proteina spike che si trova sulla superficie del virus. Questa spinge l’organismo a produrre anticorpi neutralizzanti (proteine che si legano ai virus e impediscono loro di infettare le altre cellule), ed è probabilmente responsabile dell’efficacia degli attuali vaccini». Ma cosa succederà se il prossimo virus sarà meno facile da gestire? Come sappiamo dalle epidemie del passato, ci possono volere molti anni per sviluppare un vaccino. Anche l’attuale coronavirus sta diventando più problematico da neutralizzare a causa dell’emergere di nuove varianti, ed è per questo che i due autori propongono di investire risorse nella produzione di anticorpi in grado di agire contro diverse varietà di virus in qualche modo simili (per esempio l’HIV, il virus dell’influenza o i coronavirus). «Anticorpi simili – si legge – potrebbero usati come primo farmaco per prevenire o trattare i virus di una certa famiglia, compresi nuovi ceppi o varietà non ancora emersi. E, soprattutto, potrebbero essere la base per progettare vaccini efficaci contro diverse tipologie di virus appartenenti a una stessa famiglia». La proposta insomma è di investire subito in una sostanziosa ricerca di base, in modo da fornire alla popolazione mondiale i vaccini in grado di proteggere da un’ampia gamma di agenti patogeni, compresi quelli non ancora esistenti.
«In termini evolutivi – spiegano Burton e Topol – il SARS-CoV-2 è un virus “poco sfuggente”. Non ha dovuto acquisire un armamentario di caratteristiche molecolari per superare le risposte immunitarie in generale e gli anticorpi neutralizzanti in particolare. Questo perché attualmente si trasmette da una persona all’altra prima che le risposte immunitarie si siano sviluppate e, in molti casi, prima che si notino i sintomi della malattia». Ci sono invece altri patogeni molto sfuggenti, il cui esempio estremo è l’HIV, che riesce spesso a coesistere con il sistema immunitario, talvolta per anni, prima della trasmissione successiva. Un altro esempio simile è il virus dell’influenza che, a causa dell’altissima variabilità, ha finora reso impossibile trovare un vaccino che sia efficace contro le sue diverse manifestazioni. Attualmente le varianti conosciute del SARS-CoV-2 non stanno mettendo particolarmente in crisi i vaccini esistenti, almeno nel proteggere dallo sviluppo di forme gravi della malattia.
La comunità scientifica si sta ancora interrogando sull’opportunità di perseguire questa strategia. C’è chi sostiene che l’obiettivo sia troppo difficile da raggiungere, chi sottolinea che l’evoluzione dei virus li renderebbe comunque resistenti agli anticorpi nel tempo. Uno dei grossi problemi è la capacità per i progetti che vanno in questa direzione di attrarre finanziamenti. Attualmente i principali finanziatori sembrano attratti da altre direzioni di ricerca e quindi bisognerà vedere come evolverà, oltre al virus, la loro propensione a investire su un vaccino “universale”.
(Immagine di Arek Socha su Pixabay)
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