Per cybercondria si intende una «ricerca eccessiva o ripetuta di informazioni relative alla salute su Internet, motivata dall’angoscia o dall’ansia per la salute, che non ha altro effetto se non di amplificare tali stati d’animo». È data insomma dall’unione tra ipocondria e internet. Sembra che il termine sia stato coniato nel 1999, spiega il sito NiemanLab, quando veniva usato per indicare le persone che cercavano su Internet informazioni sulla salute in generale.

«Ma se negli ultimi giorni vi è capitato di cercare su Google “vaccino per il vaiolo delle scimmie” o “mal di gola sintomo del Covid” – si legge nell’articolo –, o se avete mai avuto un mal di testa e avete cercato su Google “tumore al cervello”, sapete che il termine è ancora attuale».

Si tratta dunque di un fenomeno che ci accompagna almeno da una ventina d’anni, e che non sembra destinato a lasciarci presto. NiemanLab, che si occupa di problemi legati ai giornali e al sistema dell’informazione, si sofferma su come la cybercondria sia stata coperta dai giornali negli ultimi anni. Per farlo cita uno studio pubblicato sull’ultimo numero di Journalism Practice, in cui i ricercatori di un istituto di Singapore hanno analizzato il modo in cui 62 testate di diversi paesi del mondo hanno trattato il concetto di cybercondria tra il 2017 e il 2018, esaminando un campione di 148 articoli trovati cercando il termine su un database che esiste apposta per questo tipo di studi.

Certo rispetto agli anni coperti dallo studio sono successe varie cose, su tutte la pandemia da COVID-19. Ma secondo NiemanLab la comprensione del modo in cui le redazioni hanno trattato il fenomeno potrebbe ancora aiutare a migliorare la copertura dei problemi di salute pubblica in futuro.

Nel complesso, le testate giornalistiche considerate hanno riconosciuto che la cybercondria è “molto comune”, ma non hanno fornito una definizione coerente di cosa sia:

«Il 10 ottobre 2018 il New York Times ha definito la cybercondria come “la paura irrazionale di qualche malattia fantasma” – si legge nello studio –. Un quotidiano ad alta tiratura del Regno Unito, il Daily Mail, ha affermato il 21 novembre 2018 che la cybercondria è “una forma di paranoia sanitaria”. Analogamente, un piccolo quotidiano regionale australiano, il Warwick Daily News, ha scritto il 28 gennaio 2018 che la cybercondria si riferisce alla paura di avere il cancro dopo aver usato Google».

Gli articoli di cronaca sono soliti definire la cybercondria anche come ricerca compulsiva sul web, autodiagnosi e aumento dell’ansia.

«Alcuni articoli hanno utilizzato esempi concreti per dimostrare come, man mano che procede, il processo di ricerca si intensifichi – si legge ancora nello studio –. Il Daily Dispatch, un giornale locale del Sudafrica, ha scritto il 26 maggio 2017 che “gli utenti hanno la tendenza a cercare malattie sempre più gravi. Ad esempio, si può iniziare una ricerca per sintomi come il mal di testa e successivamente passare a esaminare materiale relativo a tumori cerebrali”. Questo accade perché Internet non è stato progettato per fornire alle persone le informazioni di cui hanno bisogno quando cercano un sintomo comune. Anzi, a volte indica un sintomo comune (ad esempio, il mal di testa) come segno di una malattia rara e grave (ad esempio, un tumore al cervello). Le persone diventano quindi più preoccupate della probabilità di avere questa malattia e intensificano le ricerche per trovare spiegazioni più rassicuranti dei sintomi. La ricerca diventa un “viaggio senza fine” perché gli utenti si aspettano che la ricerca successiva fornisca risultati più plausibili».

«Il pubblico deve sapere come valutare la credibilità delle informazioni sui siti web ed essere consapevole che Internet è solo uno degli strumenti per ottenere informazioni sulla salute», ha commentato uno dei ricercatori. «I giornalisti, da parte loro, devono aiutare il pubblico a valutare le informazioni in modo razionale».

(Photo by engin akyurt on Unsplash)

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