Fonte foto.

La sentenza della Corte di Strasburgo sulla legge francese che impedisce ai donatori omosessuali di donare il sangue in quel Paese è stata commentata su molti giornali italiani come una giustificazione, da parte dell’istituzione europea, di tale norma. Leggendo più a fondo quanto scritto dalla Corte e dai giornali francesi, si capisce però che il giudizio sulla legge è tutt’altro che positivo, e anzi c’è un forte richiamo affinché la Francia si doti di strumenti più adeguati per la garanzia della sicurezza della donazione. Come riportato dal giornale francese Le Monde, infatti, «la Corte ritiene che sebbene la situazione epidemiologica francese possa giustificare l’esclusione totale della popolazione omosessuale maschile, bisogna verificare che non esistano altre misure, meno restrittive, che permettano ad alcuni omosessuali e bisessuali di donare il proprio sangue». Secondo Le Monde, la Corte ha inoltre indicato che l’esclusione a vita potrebbe non essere una misura «proporzionata» all’obiettivo ricercato, ossia la sicurezza di chi riceve il sangue.

In Italia, il problema è stato affrontato e superato a livello normativo nel 2001, con un decreto che ha spostato decisamente il focus dalle inclinazioni sessuali del donatore ai comportamenti sessuali di quest’ultimo. Come spiega anche un articolo pubblicato sul blog 450grammi, la normativa italiana si concentra sul fatto che tutti i donatori debbano essere correttamente informati sui rischi di trasmissione dei virus (in particolare l’Hiv), e che essi siano invitati ad astenersi dal donare nel caso siano incorsi in comportamenti considerati a rischio. È compito del medico, coadiuvato dal questionario informativo che tutti i donatori sono tenuti a compilare ogni volta che donano, indagare su eventuali situazioni a rischio del donatore ed eventualmente valutare l’opportunità di una sospensione.

«L’impostazione data dai legislatori nel 2001 sugli stili di vita e i comportamenti sessuali a rischio è stato un passo avanti importante. Oggi i dati ci dicono che la trasmissione dell’Aids avviene quasi esclusivamente con i rapporti sessuali, senza distinzione tra maschi e femmine, giovani e vecchi, eterosessuali e omosessuali. È smentito dai dati che ci sia un’incidenza nella trasmissione del virus Hiv maggiore tra omosessuali rispetto agli eterosessuali: ciò che fa la differenza è il comportamento sessuale a rischio e non il sesso del partner. Eppure molte difficoltà e pregiudizi restano radicati rispetto a questo tema». Per completezza, va detto che gli ultimi dati (relativi al 2013) pubblicati dall’Istituto superiore di sanità parlano di un aumento delle diagnosi di Hiv/Aids tra «maschi che fanno sesso con maschi». Se aumentano le diagnosi probabilmente è anche perché, col tempo, cresce il numero di persone che periodicamente si sottopone al test, il che consente un monitoraggio più preciso e una maggiore sicurezza per tutti.

Ciò non ha però a che fare con concetti quali “categorie” o “gruppi” a rischio. Che poi è il pensiero espresso anche dal presidente nazionale di Avis, Vincenzo Saturni, intervistato da Repubblica il 30 aprile, subito dopo l’uscita della notizia relativa alla Francia: «Noi valutiamo il comportamento del singolo, non le categorie di persone. Puntiamo ad avere donatori consapevoli che quando parlano col medico prima del prelievo raccontano in privata sede le loro avventure in modo da poter decidere se è il caso di donare. Ed è chiaro che se uno nell’ultimo mese ha avuto rapporti sessuali promiscui con persone che si drogano o lo fanno per soldi è meglio che eviti».

Dove non arriva l’indagine del medico, ci pensano i test clinici a chiarire la situazione dell’aspirante donatore: «Sono obbligatori quelli per la ricerca degli anticorpi dei virus – continua Saturni –, ma anche del virus stesso nel periodo finestra. Quindi possiamo dire che la sicurezza trasfusionale è ai massimi livelli, il rischio di trasmettere infezioni in Italia è praticamente zero. Non risultano casi di trasmissione Hiv in Italia, ci sono in Austria, da donatori eterosessuali». L’esclusione a priori degli omosessuali è quindi un provvedimento piuttosto approssimativo e grossolano, che non garantisce di per sé la sicurezza della donazione. Quest’ultima è data da ben altri parametri e procedure, che per fortuna nel nostro Paese sono garantiti ad alti livelli.